Trentaquattro anni è un’età rispettabile. Jim Morrison era già morto, come Jimi Hendrix, per non parlare di persone più importanti di loro. Alla stessa età, Moravia aveva già scritto “Gli Indifferenti” e Van Gogh iniziava a dipingere le sue tele più famose. In campi meno esemplari, o “maledetti”, della religione, del rock, della letteratura o dell’arte, i trentaquattro anni possono segnare la nascita del primo o del secondo figlio, qualcuno potrebbe pensare persino ai nipoti. In Italia no. E non perché tutto questo non sia possibile, ma perché un’intera società è convinta che a 34 anni le donne e gli uomini siano ancora «giovani» e che non abbiano le stesse esigenze – e i diritti – degli «adulti», destinati a vivere come eterni adolescenti.

Questa è la realtà sulla quale riflette anche l’Istat che ieri ha diffuso una nuova rilevazione sui Neet, cioè i giovani che non studiano e non lavorano (Not in education, employment or training, in inglese). Oltre il 27% delle persone tra i 15 e i 34 anni sarebbero in questa condizione, sostiene l’Istituto Nazionale di Statistica. La percentuale corrisponde a 3,75 milioni, 300 mila in più rispetto al terzo trimestre del 2012 (quando erano 3,43 milioni). I soggetti più vulnerabili che non sono inseriti in percorsi di formazione, di lavoro o istruzione vivono a Sud dove i Neet toccano la quota record del 28,5% (era al 25,8 nel trimestre corrispondente dell’anno scorso). Due milioni e 10 mila persone (oltre la metà dei Neet nazionali) sono fuori dal perimetro ristretto della società del lavoro.

Per l’Istat questa condizione riguarda tanto i quindicenni, quanto i trentaquattrenni, praticamente una generazione con persone di età, bisogni e condizioni socio-economiche completamente diverse. Se si guarda agli under 29, cioè a coloro che fino ad oggi sono stati considerati ufficialmente «Neet», nel terzo trimestre del 2013 sono il 27,4% a fronte del 24,9% dello stesso periodo del 2012. A Sud coloro che sono fuori dai percorsi di cittadinanza sono il 36,2% (1,344 milioni su 2,564 milioni). I “giovani” tra 29 e 34 anni sarebbero 1,2 milioni, di cui 666 mila nel Mezzogiorno. Ben 1,5 milioni dei Neet nazionali, inoltre, hanno studiato fino al diploma di scuola media, mentre 1,8 milioni hanno la maturità e solo 437 mila possiedono una laurea, un dottorato o una specializzazione. Il Neet è in maggioranza di sesso femminile: le donne sono 2.112 milioni, mentre gli uomini sono 1.643 milioni.

Con quest’ultima rilevazione l’Istat ha cambiato il campione di riferimento dei giovani Neet in Italia. Fino a ieri ha considerati quelli fino ai 29 anni, il 27,4%, una percentuale che è tra le più alte in Europa. Aumentare il campione della rilevazione fino ai 34 anni è un’anomalia, soprattutto se si considera l’originaria funzione del concetto di «Neet», riservata agli adolescenti di 16-17 anni, come raccomandato dagli esperti che redassero nel 1999 un rapporto contro l’esclusione sociale per il governo laburista dell’epoca. Non è stato evidentemente così, visto che il termine viene oggi applicato in molti paesi europei fino ai 29 anni e fino ai 34 anni in Italia, Grecia o Bulgaria. Lo stesso avviene in Giappone o in Corea del Sud dove però «Neet» non viene usato per i «giovani» ma per persone escluse dal mercato del lavoro, che non sono sposate o rifiutano di entrare in società (si chiamano «Freeter»).

Più che il tasso di disoccupazione giovanile, che ha una sua regolarità stagionale e una sua oggettività, il «Neet» indica condizioni di esclusione molto diverse: il ragazzo che non studia né lavora, il classico disoccupato, il malato o il disabile, gli inattivi che cercano un lavoro all’altezza delle loro competenze, chi rifiuta di lavorare. In Italia c’è anche chi, per necessità o scelta, lavora al nero.È dunque possibile che una parte sostanziosa di questi 3,7 milioni di 15-34enni Neet italiani rientrino in queste o in altri sottogruppi che, in ogni caso, sono lo specchio di una società del precariato di massa, dove i processi di proletarizzazione sono aumentati visibilmente nell’ultimo anno, insieme a quelli legati alla pauperizzazione totale.

Un uso così estensivo del «Neet» può indurre la politica a credere che la precarietà di un ultra-trentenne può essere affrontata con gli strumenti adatti ad un teenager, proprio come avviene in Italia dove il ministero dei Beni Culturali ha offerto a 500 laureati under 35 indennità da 416 euro al mese. O come presumibilmente accadrà per la cosiddetta «Garanzia giovani», il pilastro della battaglia del governo contro la disoccupazione giovanile. Ai neo-diplomati e ai neo-laureati under 29 potrebbero andare 225 euro mensili (il calcolo è dell’Isfol). La maggioranza di tutti gli altri non rientrano nei criteri del «decreto lavoro» di agosto per finanziare apprendistati o tirocini attraverso la decontribuzione fino a 650 euro alle imprese.

Questo tuttavia non è l’unico destino riservato agli under 35 in Italia. Nel 2013 nel campo del lavoro indipendente, hanno aperto 100.321 imprese nel commercio, nell’industria, nei servizi e nell’agricoltura, il 38,5% al Sud. Segno che l’essere Neet non è per sempre e non è l’unica realtà in Italia.