Il programma del nuovo governo è confuso su tutto, ma soprattutto sull’ambiente e sul contrasto alla crisi ambientale. Ma su questo dovrà fare i conti con molti dei movimenti che stanno maturando nella società. E non solo in Italia, ma in tutto il mondo. A un anno dall’inizio dello sciopero solitario di Greta Thunberg possiamo infatti misurare l’enorme risultato che una sola persona, priva di ogni potere, è riuscita a indurre:

UN MILIONE e mezzo di giovani in tutto il mondo si sono svegliati, hanno capito che gli stiamo rubando il futuro, e forse anche la vita, sono scesi in piazza per protestare (e lo rifaranno, più numerosi e forti, tra il 20 e il 27 settembre) e stanno moltiplicando le loro iniziative riempiendo di eventi dirompenti il calendario di molti paesi;

Stampa e Tv, mute fino a pochi mesi fa, hanno cominciato a raccontare quello che sta succedendo al pianeta, compreso spiegare (per es. La Stampa del 29.8) che non c’è più posto per politiche di “crescita”, per quanto virtuose: de profondis per le politiche di tutti i paesi;

Tra la popolazione più informata, trasformata, come tutti, in consumatori, cresce la consapevolezza di dover porre fine a uno stile di vita insostenibile (per chi uno “stile di vita” può permetterselo: poche centinaia di milioni di persone). Innanzitutto molta meno carne, ma sotto tiro ci sono anche viaggi aerei, vacanze esotiche, auto private, condizionatori, abbigliamento, moda, case troppo grandi; Le imprese corrono ai ripari verniciandosi di verde: i boss dell’industria Usa dichiarano che tra i loro fini non c’è più solo il profitto. Ma si sa, i profitti diminuiscono solo per la pressione di lavoratori sfruttati e consumatori imbrogliati;

I PIÙ IN RITARDO sono i politici: quelli negazionisti, come Trump e Bolsonaro, non si vantano più delle politiche apertamente distruttive che perseguono. Tutti gli altri, che si riempiono la bocca di ambiente da decenni senza fare niente, sono ancora lì a misurare i decimi di punto di PIL che qualsiasi misura ambientale potrebbe sottrargli. La nuova Presidente delle Commissione europea Ursula Von der Leyen annuncia un fondo per la crisi climatica; ma a chi andranno? Se tutti i fondi stanziati per la crisi economica sono finiti alle banche, quelli per il clima, se mai saranno stanziati, rischiano la stessa fine. Per questo è ormai urgente mettere in chiaro, anche e soprattutto con il nuovo governo, alcuni punti:

NON CI SI PUÒ limitare a protesta e denunce. Pensiamo anche alle cose da fare. Su due piani: pressione su istituzioni e media, con rivendicazioni da mettere a punto un po’ per volta; e mobilitazione dal basso per cambiare insieme il nostro stile di vita, facendo cose che si possono fare anche in pochi. Valgono le ingiunzioni di Extinction Rebellion: «Dite la verità, agite subito, convocate il pubblico», ma nell’ordine inverso: senza momenti collettivi non si infrange il muro di omertà che ha nascosto le cose finora né si può intraprendere iniziative che coinvolgano chi non è ancora mobilitato. Gli interlocutori principali sono due: i lavoratori di fabbriche e aziende, da contattare sia direttamente che con mediazioni sindacali, e i “territori”, o “comunità”, facendo leva sul tessuto associativo: comitati , società sportive, parrocchie, centri sociali. Le scuole possono diventare sedi e riferimenti per ogni quartiere. I temi più immediati da affrontare sono quattro:

DECARBONIZZAZIONE, cioè elettrificazione con fonti rinnovabili. Non tutti dispongono di un tetto da solarizzare (e ci sono anche i senzatetto). Ma in tutti i quartieri gli interventi possibili per produrre energia rinnovabile e risparmio energetico sono centinaia: possono venir individuati e progettati, esigendo dalle amministrazioni locali formazione e messa a disposizione di squadre interdisciplinari di tecnici (un lavoro per migliaia di giovani laureati e diplomati). La ristrutturazione degli edifici offrirà milioni di posti di lavoro a nativi e migranti, qualificati e no;

MOBILITÀ: occorre – bisogna dirlo – abbandonare in pochi anni l’auto privata, sia convenzionale che elettrica, per sostituirla con trasporti pubblici più efficienti, più comodi, più economici, di linea (treni, tram, bus) e personalizzati (taxi singoli e collettivi, car sharing, trasporto a domanda per passeggeri e merci). Una transizione che non può essere affidata solo alle autoritá: va organizzata dal basso istituendo mobility manager di quartiere e caseggiato (oltre che di azienda) rivendicando le risorse necessarie: affidare al mercato una demotorizzazione discriminatoria, come Voleva fare Macron con tasse sul diesel, fa fallire tutto.

AGRICOLTURA e alimentazione: non basta ridurre la carne; ci vuole un’agricoltura ecologica, di prossimità, gestita da piccole aziende, che consenta il “ritorno alla terra” a decine di migliaia di giovani acculturati che non aspirano ad altro e ad altrettanti migranti già occupati, ma da mettere in regola. La transizione può essere facilitata dai gruppi di consumo solidale (gas) con un rapporto diretto tra chi produce o trasforma il cibo e chi lo consuma;

TERRITORIO: per metterlo in sicurezza bisogna demolire gli edifici insicuri ma soprattutto piantumare. Nel mondo c’è ancora posto per mille miliardi di nuovi alberi: quanto basta per riassorbire una parte significativa del CO2 emesso negli ultimi due secoli…