L’offerta didattica per la prima infanzia nella città di New York include molte scuole con approcci pedagogici alternativi: tra gli istituti più esclusivi, ad esempio, ci sono quelli che adottano il Reggio Emilia approach, ideato dal correggese Loris Malaguzzi. Molto più numerose sono le scuole che aderiscono al metodo di un’altra italiana, Maria Montessori (di cui quest’anno ricorre il centocinquantenario dalla nascita, ndr).

Il suo nome in Italia solleva spesso il rammarico per la scarsa diffusione del metodo nel nostro paese. Secondo l’Opera Nazionale Montessori esistono circa 235 scuole nell’intera penisola. Di queste, circa 120 sono statali e il restante è diviso tra paritarie, private o parentali di ogni ordine e grado. Perfino di una scienziata così acclamata a livello globale si può dire, quindi, che nemo propheta in patria. Tra le principali ragioni per giustificare la limitata diffusione dell’approccio in Italia, emergono fattori storici e socioculturali. Da un lato Maria Montessori, dopo l’iniziale appoggio del regime fascista, si allontanò dall’Italia e vi tornò solo sporadicamente. Dall’altra, l’applicazione del metodo su ampia scala avrebbe richiesto grandi investimenti statali per ripensare la didattica e per formare gli insegnanti.

NEGLI STATI UNITI, le scuole Montessori per l’infanzia sono per la maggior parte private e non prevedono alcuna sovvenzione statale per le famiglie, così etnia, colore della pelle, classe sociale di appartenenza sono spesso tre requisiti dirimenti per poterle frequentare.
Anche se altalenante, il successo del metodo negli Stati uniti è lungo un secolo. Fin dai primi articoli dedicati alla pedagogista, apparsi su McClure’s Magazine nel 1911, venne compreso e diffuso uno dei nodi centrali del progetto educativo montessoriano: la rivoluzionaria riflessione sul concetto di libertà. Più di ogni altra, l’idea di libertà negli Stati uniti era, ed è tuttora, il principio fondativo della nozione di cittadinanza individuale e collettiva – come sottolinea lo storico Eric Foner in Storia della libertà americana. Da sempre attenta alle dinamiche politiche e sociali e intuendo l’appeal dell’argomento, Montessori scelse d’inserire nell’edizione anglofona de Il Metodo un nuovo capitolo dedicato alla «disciplina della libertà». L’immediato entusiasmo manifestato dal pubblico americano confermò questa sua intuizione.

Oggi, in Nord America, il nome Montessori è riconosciuto da gran parte della popolazione. La fama raggiunta dal metodo supera le scuole che ne adottano l’approccio e l’interesse dei pedagogisti. Di fatto, a una vaga conoscenza dell’origine del sistema educativo si accompagna una crescente popolarità del nome di Maria Montessori, ormai felice sinonimo di un’educazione del fanciullo all’intraprendenza, all’anticonformismo, alla creatività. Questa notorietà ha contribuito anche allo sviluppo e alla divulgazione di numerose ricerche accademiche. Tra le più importanti, figura uno studio pubblicato da Frontiers in Psychology in cui un gruppo di ricercatori diretti da Angeline Lillard dell’University of Virginia analizza l’impatto di metodi pedagogici incentrati sullo sviluppo cognitivo ed emotivo del fanciullo.

LO STUDIO ESAMINA bambini tra i 3 e i 6 anni di due scuole pubbliche situate nella zona povera di una grande città: una è Montessori, l’altra invece è una scuola che poco consente ai bambini la libertà di sperimentare soluzioni e processi creativi individuali. La ricerca mette in evidenza lo sviluppo delle capacità cognitive, il miglioramento delle prestazioni scolastiche e delle abilità socio-comportamentali del gruppo degli studenti educati secondo l’approccio italiano.

Oggi gli Stati Uniti contano quasi tremila scuole Montessori. Di queste, 2.139 sono private e 530 sono pubbliche, molte delle quali si trovano nell’area di Washington, D.C. All’offerta pubblica e privata si aggiunge un grande numero di scuole ispirate al metodo, che troppo spesso utilizzano il nome dell’educatrice per capitalizzare sulla sua fama, ma il cui personale insegnante non è formato al metodo pedagogico.

Se da un lato è innegabile che negli Stati Uniti vi sia una forte prevalenza di scuole private, vi sono anche numerosi educatori che hanno cominciato ad aprire le porte dell’approccio montessoriano ai bambini di famiglie meno abbienti. A partire dagli anni ’60, il numero di scuole pubbliche Montessori è cresciuto esponenzialmente, prima attraverso le cosiddette magnet schools — parte di uno specifico distretto scolastico create spesso per abolire la segregazione razziale nelle zone urbane — e poi con le charter schools — i cui fondi sono stanziati dallo stato o da privati ma che sono gestite da organizzazioni private.

IL NUMERO di queste scuole è in salita in città quali Washington, Detroit e Dallas. Più di cinquecento programmi pubblici Montessori servono circa 125mila bambini dai 3 ai 18 anni, metà dei quali sono studenti di colore. Ma come sottolinea Mira Debs, direttrice del programma di Education Studies a Yale University, in molti casi sono le famiglie stesse a dover selezionare attivamente la scuola e fare domanda per i propri figli. Nonostante, quindi, potenziali sovvenzioni statali le famiglie devono comunque essere al corrente dell’offerta didattica.

Questi timidi tentativi di rendere più accessibile un’educazione pubblica di qualità sono paralleli a un vero e proprio assalto frontale all’istruzione statale. Nel corso del suo mandato, Betsy DeVos, segretario dell’Istruzione dell’amministrazione Trump, ha cercato di demolire le fondamenta del proprio ministero con tagli di milioni di dollari, emanando decreti per aumentare il numero di studenti per classe, revocando fondi per programmi doposcuola, attaccando le linee guida dell’era Obama in materia di molestie e violenze sessuali nelle scuole e nelle università e favorendo l’erogazione dei finanziamenti per le scuole private attraverso un sistema di voucher.

Per tutta risposta, gli educatori che stanno sostenendo scuole pubbliche montessoriane si sono concentrati nel promuovere l’inclusione socio-economica, la diversità etnica e razziale del corpo insegnante e degli studenti e il coinvolgimento delle famiglie per creare una rete di supporto per i nuclei di recente immigrazione. Organizzazioni come la National Center for Montessori in the Public Sector supportano l’apertura di scuole accessibili a tutti attraverso sistemi di sorteggio che tengono conto della condizione economica della famiglia. Al contempo forniscono sostegno a studi longitudinali su come questi programmi migliorino e uniformino i risultati scolastici per gli studenti di diversi contesti economici e sociali.

SONO QUESTE LE SCUOLE Montessori di cui dovremmo lamentare l’assenza. Istituti che riprendano il messaggio originario dell’educatrice che nel 1906 aprì la prima scuola nel disagiato quartiere di San Lorenzo, una parte di Roma «ove la gente per bene passa solo dopo morta». Quei bambini, che prima venivano lasciati incustoditi da genitori lavoratori che non avevano le risorse per fornire loro diversi tipi di tutela e istruzione, furono affidati alla giovane dottoressa Montessori.

Nel ripensare il ruolo della pedagogista nel panorama educativo italiano contemporaneo dovremmo quindi ritornare al bambino e preoccuparci di soddisfare i suoi bisogni cognitivi in un ambiente scolastico che tenga conto delle sue esigenze emotive, fisiche e psicologiche, ma anche ricentrare la conversazione per includere il sostegno alle famiglie provenienti da condizioni svantaggiate, quelle che non riescono a soddisfare i bisogni essenziali perché, come diceva Montessori delle famiglie di San Lorenzo, «tanti non hanno casa ma soltanto mura luride e spesso non vi è luce, né aria, né acqua».

I tagli indiscriminati all’istruzione che si traducono in infrastrutture scolastiche disomogenee e mediamente di bassa qualità, in classi stipate e nella precarietà del corpo docente suonano stridenti rispetto alle parole della giovane scienziata che decise di avventurarsi in uno dei quartieri più poveri di Roma e nelle desolate campagne dell’agro romano e pontino per educare i figli delle classi più povere a quello che è diventato famoso come il «metodo della libertà».
Non focalizziamoci, quindi, tanto sui numeri della diffusione montessoriana all’estero, né sulle risorse di scuole dell’infanzia pensate per un gruppo ristretto della popolazione. Ripensiamo invece la scuola come Montessori l’aveva concepita, valorizzando il bambino, a partire da quelli che più hanno bisogno di questa istituzione.

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SCHEDA: Nelle classi «multiculturali»

«Il metodo Montessori nei contesti multiculturali. Esperienze e buone pratiche dalla scuola dell’infanzia all’età adulta» è il libro in cui l’autrice Sonia Coluccelli si interroga sulla questione dell’accoglienza e dell’istruzione dei bambini migranti (Erikson, pp. 152, euro 19,50). Coluccelli, oltre a narrare le esperienze di docenti che hanno operato in contesti multiculturali (dall’Italia all’Africa), aiuta a comprendere i contorni del fenomeno riportando dati sulla percentuale di studenti di origine straniera nelle nostre scuole, la provenienza, la previsione di successo e di abbandono scolastico.