Ieri in Ucraina, per alcune ore, è stata guerra civile vera: le truppe dell’esercito e delle forze speciali ucraine hanno sferrato una durissima offensiva contro gli insorti dell’est, causando sette morti. Fin dal mattino attacchi sono stati lanciati sulle città in mano ai filorussi che avevano rifiutato di deporre le armi come richiesto dall’«accordo» di Ginevra, a cui però le forze pro indipendenza da Kiev non erano state invitate.

Il governo di Majdan avrebbe attaccato con 11 mila uomini, 160 carri armati, più di 230 blindati, cannoni, lanciamine e mezzi dell’aviazione, secondo i dati del ministero della difesa russa. Contemporaneamente all’operazione militare «antiterrorismo», il ministro degli esteri russo Lavrov, ha lanciato pesanti accuse a Usa e Unione europea, responsabili secondo Mosca dei disordini che hanno portato al colpo di stato di Kiev, da cui tutto è partito e della successiva escalation che ha trascinato il paese sull’orlo del conflitto. E alla notizia dei sette morti filo russi a Sloviansk – in precedenza in pieno controllo dei separatisti – è intervenuto anche Putin, annunciando «conseguenze» agli atti di Kiev, condannando come un «crimine grave», l’intervento dell’esercito ucraino. La Russia ha quindi portato le proprie truppe ai confini ucraini per esercitazioni, costringendo il governo di Majdan a sospendere le operazioni nell’est del paese. Nel tardo pomeriggio di ieri il presidente ad interim di Kiev ha chiesto a Mosca di ritirare le truppe ed evitare «ricatti».

L’impressione è che il muro contro muro sia ormai prossimo a sgretolarsi e il rischio è che a ad agire in modo distruttivo possano essere le armi. Il governo di Kiev ha deciso per l’attacco, forte delle rassicurazioni ottenute nei giorni scorsi dagli Stati uniti. Sia il capo della Cia Brennan, sia il vicepresidente Biden a Kiev, sia il segretario di Stato Kerry a distanza e il presidente Obama dal Giappone (non manca davvero nessuno tra gli alti funzionari Usa) non hanno fatto mancare il pieno sostegno e supporto alle attività militari ucraine, assicurando anche la presenza di 600 soldati americani tra Polonia, Lituania e Lettonia. Anzi, come emerso nei giorni scorsi, proprio le assicurazioni di sostegno americano avrebbero indotto Kiev a dare il via all’operazione (in chiara violazione dell’accordo di Ginevra e a dimostrazione della stramba elasticità del diritto internazionale). Washington ha quindi sottolineato un chiaro appoggio militare, utilizzando la Nato. Da parte sua Mosca ha visto colpito il principale punto della propria strategia, ovvero l’attacco contro cittadini che si considerano russi. Un elemento che Mosca aveva specificato di tenere in gran conto, insieme al tacito accordo circa la neutralità ucraina rispetto ad allargamenti della Nato.

Lavrov nei giorni scorsi aveva ricordato il precedente georgiano del 2008 per sottolineare la determinazione russa a difendere i propri interessi in Ucraina. E Kiev, più spinge sull’acceleratore dell’operazione militare, con l’ipotesi di una Nato allargata a est, più suggerisce l’intervento armato a Putin.

Le notizie che arrivano dall’est del paese per una volta non sono in bilico tra geopolitica e folklore, ma sono immagini di scontri e spari, veri. Fumo, soldati in azione e vittime. In mattinata le forze armate ucraine hanno respinto un attacco di un centinaio di miliziani filorussi a un deposito di armi ad Artemivsk, nella regione di Donetsk. I filorussi sarebbero stati armati di mitra, lanciagranate e bombe a mano. Nello scontro a fuoco un militare di Kiev è rimasto ferito. Diverso il destino dei filorussi, sette secondo le notizie trapelate in serata, uccisi in un raid delle forze ucraine per riprendere il controllo di Sloviansk, nell’est del paese. Secondo i media ucraini, nella vicina città di Artemivsk, le truppe governative hanno sventato un attacco a una base dell’esercito: nell’azione è rimasto ferito un soldato, mentre gli attaccanti, secondo quanto dichiarato in Parlamento dal presidente ucraino Oleksnader Turchynov, hanno subito «pesanti perdite».

La Russia ha reagito con le esercitazioni militari ai confini. «Siamo stati costretti – ha detto il ministro della difesa russa Serghiei Shoigu – anche per le dichiarate esercitazioni delle truppe Nato in Polonia e nei Paesi Baltici. Se non sarà fermata la macchina militare essa porterà ad un gran numero di morti e feriti», ha aggiunto Shoigu. Secondo le fonti governative russe, insieme all’esercito ucraino agirebbero anche «gruppi di disturbo» destinati al sabotaggio, insieme alla Guardia Nazionale e «battaglioni composti dagli estremisti di destra di Pravi Sektor», mentre a Donetsk e a Lugansk si starebbero trasferendo i reparti speciali del servizio di sicurezza e del ministero dell’interno.