Petro Poroshenko, oligarca. Vitali Klitschko, ex pugile. Il ticket elettorale dell’Ucraina della Majdan ha sbaragliato il campo. Poroshenko è stato eletto presidente con ampio margine di voti. A scrutinio chiuso dovrebbe incassare il 55% delle preferenze. Klitschko, che inizialmente aveva manifestato ambizioni presidenziali, salvo poi dare campo a Poroshenko e regalargli tutta la sua dote di voti, è stato invece eletto sindaco di Kiev. Con una percentuale analoga a quella di Poroshenko.

Diversi analisti hanno visto nella vittoria dell’oligarca un possibile pertugio per la ricerca della pace. Ma, almeno a giudicare da quanto successo ieri a Donetsk, il quadro tende davvero al negativo. Le milizie filorusse, riferiscono le cronache, hanno preso il controllo dell’aeroporto di Donetsk. Kiev ha contrattaccato con un bombardamento aereo.

Il fatto che si combatta per il possesso di un’infrastruttura così importante – e che si combatta in questo modo – non rassicura. Ma non basta. Si parlava, ieri, anche di scontri nei pressi della stazione ferroviaria. Il conflitto entrerebbe in città, dunque. Il tutto può indicare sia che Kiev sta lanciando l’offensiva finale, sia che i ribelli dell’est vogliono alzare l’asticella, dopo che nelle ore scorse le aree sotto il loro controllo nelle regioni di Donetsk e Lugansk hanno proclamato la nascita della Nuova Russia. Entità che potrebbe seguire il percorso della Crimea. Ma anche no. Si tratta di capire se Putin vuole forzare o meno.

Il Cremlino sta alternando aperture a posture rigide. Ha detto di essere pronto a lavorare con Poroshenko, ma chiede che Kiev fermi l’offensiva a est. Pretende inoltre che l’Ucraina vari una costituzione in senso federale, che dia all’est un altissimo grado di autonomia. Poroshenko, da parte sua, è pronto a lavorare affinché ci sia decentramento, ma non vuole la federazione. Teme che porti alla nascita di uno stato nello stato.

Non è chiaro, poi, se e quando è disposto a congelare l’offensiva. Né se, come auspica Mosca, si presenterà al tavolo senza gli euro-americani. Il fatto che dovrebbe effettuate la prima visita di stato all’estero in Polonia, nei prossimi giorni, lascia intendere che a questa sponda non voglia rinunciare. Varsavia è il paese europeo che più perora la causa di Kiev. Ma è anche vero, al tempo stesso, che rispetto al passato negli ultimi anni è riuscita a parlare di più e meglio con Mosca. In ogni caso, negli ambienti diplomatici europei inizia a farsi strada l’idea che dare ai polacchi tutta questa responsabilità, sull’Ucraina, non sia stato così saggio.

In attesa di capire l’evoluzione della situazione, sia nel caso in cui fluisca verso la trattativa, sia nell’ipotesi in cui tutto vada a rotoli, c’è una certezza: l’affermazione di Poroshenko e Klitschko, sul fronte della Majdan, relega ai margini gli estremisti di destra che avevano contribuito, lottando nelle strade di Kiev, al cambio di regime.

Alle presidenziali Oleh Tyahnybok e Dmytro Yarosh, capi degli ultranazionalisti di Svoboda e dei paramilitari di Settore destro, hanno ottenuto insieme il 2%. Dura anche la sconfitta rimediata da Yulia Tymoshenko, che non va oltre il 12-13%.

L’impressione è che tutto fosse scritto, se non pianificato a tavolino. Poroshenko e Klitschko hanno sostenuto la rivolta della Majdan, ma senza andare mai troppo sopra le righe. Hanno atteso che l’estrema destra facesse il suo gioco, anche quello sporco. Poi hanno lavorare affinché venisse azzoppata. Lo stesso con Tymoshenko, che dopo la fuga di Yanukovich ha fatto nominare il fedelissimo Oleksandr Turchynov come presidente provvisorio e Arseniy Yatseniuk, reggente del suo partito (Patria), come primo ministro. Klitschko non è entrato nell’esecutivo. Con ogni probabilità voleva prendere le distanze da Svoboda e dalla stessa Tymoshenko, fiutando che gli ucraini non avevano troppa voglia di darle ancora le chiavi del paese.
C’è poi da tenere conto delle manovre degli oligarchi. Tutti, quando Tymoshenko era primo ministro, sono finiti nel mirino. Hanno tremato. E così hanno visto di buon grado la candidatura di Poroshenko, possibile garante della pax oligarchica. Che dipende anche dal buon vicinato con la Russia, con cui i tycoon fanno più affari che con l’Europa. Il loro obiettivo è galleggiare tra Bruxelles e Mosca, rafforzando la cooperazione con la prima senza rompere con la seconda. Di ingresso nella Nato, quindi, non se ne parla. Ci insiste fortemente solo Yulia Tymoshenko, che intende metterlo a referendum.

Poroshenko, che ha servito anche con Yanukovich (è stato ministro del commercio nel 2012), è un uomo che può discutere con ribelli filorussi dell’est e con Mosca, da cui chiaramente passa la soluzione al rebus ucraino. Klitschko dovrebbe assecondarlo, se è vero che ha spiegato che rimuoverà le barricate ancora presenti sulla Majdan. Uno dei punti su cui i ribelli filorussi hanno più insistito. Certo è che il negoziato con la Russia non è semplice e l’Ucraina resta un viscosissimo pantano. Ci si spara addosso, l’economia è disastrata e sullo sfondo c’è un’altra questione non da poco: quella del gas. Kiev deve dare molti soldi a Mosca, che potrebbe tagliare le forniture.