Dieci su undici associazioni dell’autotrasporto hanno negato la partecipazione alla «rivoluzione del 9 dicembre». «Quando scioperiamo noi il paese si ferma davvero» ha detto ieri mattina Pasquale Russo, sergretario generale Contrasporto, in un’intervista a Tutta la città ne parla su Radio Tre. I sindacati autonomi avevano lanciato una protesta tra il 9 e il 13 dicembre. A seguito di un accordo con il governo, la protesta è rientrata. Per questa ragione sulle strade, ad esempio la Pontina vicino Roma, si vedono (pochi) camion e qualche trattore che all’altezza dei presìdi di Latina (Borgo Piave) e Terracina sulla via Sr 148 si sono messi in marcia lentamente lungo la carreggiata provocando problemi alla circolazione del traffico e rallentamenti.

La Tranfrigoroute Italia Assotir ha condannato «la scelta irresponsabile di una piccola sigla [La «Life» veneta, ndr.] che non ha voluto sottoscrivere il protocollo d’intesa con il Governo ed ha sperato di acquisire una qualche briciola di notorietà rilanciando la proposta di un fermo generale del settore che i fatti si sono incaricati di dimostrare del tutto velleitaria. Una scelta che ha prodotto un gravissimo danno a decine di migliaia di imprese». La Tranfrigoroute Italia Assotir prova a descrivere la composizione sociale della protesta: «Sono contadini orfani delle quote latte e pieni di rabbia contro la Ue, imprenditori che non hanno saputo innovarsi e che figurano tra i nostalgici vedovi delle svalutazioni competitive e dell’inflazione a due cifre con cui l’Italia si arrangiava negli anni ’70; movimenti di destra estrema che si illudono di poter fare “in Italia come in Cile”, questa è la brodaglia incommestibile che abbiamo visto all’opera».

Quest’ultima accusa è molto forte, ma è anche preziosa per distinguere punti di vista diversi nella crisi, a partire dal lavoro autonomo. Le principali rappresentanze degli autotrasportatori si ritengono integrati nel mercato e vedono nel «9 dicembre» il rischio di essere schiacciati nella definizione di «tirroristi» che gli è stata inflitta a lungo. «Ci sono voluti due decenni di iniziativa sindacale per scrollarci di dosso questa definizione” sostiene ancora la Tranfrigoroute Italia Assotir. E tuttavia questi autonomi non nascondono i problemi: la «concorrenza sleale estera» e il «lavoro interinale», ad esempio. E poi il ritardo dei tempi di pagamento da parte delle aziende committenti, il blocco rappresentato dal sistema di intermediazione che espropria risorse ingenti ai piccoli soggetti della filiera.

Ai «forconi» in piazza in questi giorni è dunque venuto a mancare (perché, semplicemente, non c’è mai stato) un importante segmento del Quinto Stato: i «padroncini» a partita Iva, i piccoli imprenditori, fornitori o subfornitori delle aziende che lavorano nella logistica e riforniscono i distributori di benzina, i supermercati, ad esempio.

Quella in corso sarebbe dunque una mobilitazione nel lavoro agricolo che riguarda i settori che soffrono l’industrializzazione, esclusi o penalizzati dai fondi europei o regionali a sostegno dell’agricoltura, nel Lazio e nel Nord Ovest. Si spiega così la presenza dei trattori ma non dei tir sulle carreggiate. La Sicilia dei primi forconi tace, tranne qualche agitazione. In Puglia, a nome dei forconi, interviene il capo di Casa Pound. Questo lo scenario.

Una riflessione merita anche il dato politico. Le realtà organizzate nell’auto-traporto si sono sottratte alla lotta per il ritorno alla «sovranità popolare» che i promotori della presunta «rivoluzione» associano al ritorno alla «sovranità monetaria» in chiave anti-euro. In più non negano che esista la crisi, ma respingono le modalità dell’attuale protesta. Parliamo di un movimento neo-poujadista che vorrebbe organizzare, come nei primi anni Cinquanta in Francia, scioperi per bloccare il paese, cambiare il governo, magari sostituendolo – opinione registrata in alcuni video – con un «militare». A differenza di quanto stiamo osservando oggi in Italia, l’agitazione organizzata da Pierre Poujade fu reale, il blocco della Francia totale. I soggetti sociali sono tuttavia simili: piccoli commercianti e agricoltori. In Francia, durante quello sciopero, furono loro ad opporsi al carico fiscale, all’inefficienza del parlamento (che oggi la «brodaglia incommestibile dei neo-poujadisti definiscono «illegale»). Anche perché c’è stata la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale. Si tratta infine di una mobilitazione anti-europea. Pierre Poujade insorgeva contro alla firma del trattato di Roma dell’allora costituenda Cee. Oggi i poujadisti «insorgono» contro le politiche di austerità della Troika.

Questo dibattito, che anima anche molti siti della sinistra di movimento e antagonista, è una spia. Non di una «rivoluzione» si tratta, ma della cornice discorsiva nella quale si terranno le prossime elezioni europee. Ieri in Francia, e oggi in Italia, vince la dimensione corporativa tanto nell’affermazione del populismo e dell’antipolitica quanto nell’opposizione ad entrambi. Nelle differenze tra questi punti di vista si allarga il territorio fertile per gruppuscoli di estrema destra o, più seriamente, per il movimento Cinque Stelle.