Dietro l’apparente insensatezza della politica dei nostri rappresentanti, c’è un disegno autoritario di portata storica che prende via via più consistenza. Esso si traveste sotto il nome di “modernismo” e di “nuovismo” e si estende non solo alla sfera economica (fare quello che dice l’Europa dei banchieri) ma a quella culturale (la cultura “non se magna”) e perfino scientifica (“a morte i catastrofisti, viva gli Ogm”).

Una trama fatta di scelte, decisioni, leggi nefaste, preceduta e accompagnata da una ideologia (altro che fine delle ideologie!) composta di slogan conditi del peggior senso comune e idee populistiche che hanno modificato i pensieri delle persone comuni e prodotto “nuovi tipi umani”. Bisogna pur ammettere (ahimè!) che Renzi “non sarebbe mai arrivato” se per anni la sinistra non avesse collezionato fallimenti e mancato occasioni importanti; se la sinistra non avesse dato consenso (la situazione rovinosa delle scuole e università) alle lusinghe delle magnifiche sorti e progressive del Mercato e dei suoi miracolosi effetti; se il sindacato non fosse caduto per anni in letargo ritirandosi nella trincea dei privilegi acquisiti, se la classe dirigente della sinistra avesse avuto una minima curiosità e attenzione a leggere i fatti nuovi del mondo che chiedevano nuove letture e interpretazioni.

Del resto è facile interpretare il “successo” di Renzi con le parole che escono dalla bocca di tante persone comuni che dicono: «Basta chiacchiere, basta sinistra, basta corruzione, basta questa casta di privilegiati chiusi nel Palazzo e che ci dovrebbe rappresentare, basta sindacati che non ci difendono» e così via, una sorta di rosario sciorinato fino a diventare sentimento comune per molta parte della popolazione italiana.

Tanto che in contesti pubblici come al mercato, al bar, a cena da amici che si sono per anni impegnati nella politica, è impresa disperata dimostrare come le tante promesse renziane non produrranno alcun miglioramento delle condizioni di vita; ma, per quanto incredibile sia, non è importante sapere che non ci sarà ripresa alcuna, che il futuro è minaccioso, l’importante è credere nelle promesse del giovane favoloso: è l’ultima speranza.

«E voi che avete fatto fino ad oggi?» è la replica scontata degli onesti che, pur non provando simpatia per Renzi, hanno accumulato un rancore feroce e profondo per una sinistra che ha tradito, che si è seduta dalla parte dei vincitori, che ha dialogato con essi dimenticando le proprie radici di classe, la lotta alle ingiustizie, le disuguaglianze, le sofferenze di coloro che non ce la fanno a vivere in questo modo.

E così, tu che vorresti spiegare gli inganni di Renzi, che esiste una sinistra che non è “quella roba lì”, finisci col tacere perché tu stesso non sei estraneo in fondo a quel sentimento di acrimonia e di rancore per come le cose sarebbero potute andare e non sono andate.

E se è indubbio che la manifestazione del 25 ottobre a Roma ha riscosso uno straordinario successo di partecipazione, entusiasmi, volontà di cambiare nonostante tutto, tante persone, tanti compagni sono rimasti a casa a chiedersi: «D’accordo siamo ancora in molti a non voler mollare, ma cosa possiamo fare? Ho paura dell’ennesimo fallimento che non riuscirei più a sopportare». I giovani, poi, nella stragrande maggioranza diffidano dell’impegno politico. Dopo tante epidemie essi hanno sviluppato quegli anticorpi che li “proteggono” dall’entusiasmo per la politica, dalle passioni politiche. Le loro passioni, i loro entusiasmi sono ancora tutti presenti e animano le loro esistenze ma non si rivolgono più alla politica, a quella “cosa maledetta” di cui è addirittura meglio non parlare.

Come dopo i terremoti quando si resta sgomenti di fronte non solo alle macerie che esso ha prodotto ma anche di fronte all’idea di ricominciare a costruire sopra quelle macerie, così sentiamo tutti il peso per un impegno che tarda a manifestarsi poiché mancano i progetti politici che ci consentirebbero almeno di iniziare a imboccarci le maniche per sperimentare forme nuove di vita collettiva.

Eppur sappiamo che esse sono “dietro l’angolo”, quasi a portata di mano, diffuse e praticate nei territori come fiabe non raccontate da nessuno, scintille di un futuro che rimane ancora sospeso. Le scorgiamo a sprazzi in alcuni momenti della giornata, le vediamo nelle manifestazioni come il 25 ottobre; di loro leggiamo testimonianza sulle cronache quotidiane.

Questo giornale – il manifesto – è un po’ come l’art. 18, una volta che fosse smantellato aumenterebbe spaventosamente il senso di smarrimento delle coscienze nella già debole galassia della sinistra.

Continuare a farlo esistere fa parte dei progetti di ricostruzione di possibili forme di vita collettiva di una vera sinistra e, dunque, non va fatto cadere l’appello, anzi il grido, di: miriprendoilmanifesto lanciato da Norma Rangeri e dalla redazione del giornale.

Per adesso, almeno, cerchiamo di mantenere le posizioni, che non è cosa da poco.

Per donare: http://miriprendoilmanifesto.it