Il manifesto è un giornale dove l’attualità non viene raccontata con l’ossessione dell’attualità. Forse non siamo più in grado di immaginare un altro mondo, ma almeno possiamo raccontare il mondo che c’è senza il dovere di pensarlo unico.
Il manifesto non sarà mai al sicuro, e forse gli giova essere in bilico. Se fosse un’impresa florida avrebbe la cecità e l’arroganza di tutte le imprese floride. In un mondo in cui la peste del consumo è riuscita a diventare religione di massa, l’unica religione che accomuna poveri e ricchi in ogni angolo del pianeta, in un mondo come questo il manifesto ci vuole e la frase suona assai simile al pavesiano «un paese ci vuole».
Ci vuole un giornale che si muove sull’orlo e che racconta margini, pieghe nascoste, un giornale mai stanco di partorire eresie. Su questo giornale si può scrivere di passioni civili e delle crepe sul fondo della nostra anima. E forse il futuro della politica è proprio qui: intrecciare politica e poesia. Amare e lottare: leggere il manifesto è il miglior modo di tenere viva la gioia della lotta.