È già carta straccia l’accordo raggiunto a Kiev solo 48 ore fa tra i rappresentanti dell’Unione europea, significativamente in prima fila il ministro degli esteri tedesco Steinmeier e quello polacco Sikorski. Per quell’accordo l’interlocutore scelto è stato, insieme ai leader dell’opposizione, proprio il presidente Viktor Yanukovich – incapace, alla fine criminale, con interessi privati, legato ad oligarchi come tutti i partiti ucraini, ma democraticamente eletto anche secondo certificazione della stessa Ue, dell’Onu e dell’Osce. L’accordo prevedeva una sua concordata uscita di scena, la proposta di un governo di unità nazionale ed elezioni anticipate a maggio. Era il quadro per tenere unito il più possibile il Paese dopo gli scontri armati che hanno provocato a Kiev più di cento morti.

Da ieri mattina invece la situazione è precipitata ed è in corso una prova di forza, un colpo di mano dagli esiti credibilmente dissolutori per i destini dell’Ucraina. Il palazzo della presidenza è stato occupato, con molti ministeri, dai manifestanti di «EuroMajdan», gli stessi che avevano reagito male all’accordo respingendo perfino il ministro degli esteri polacco che aveva intimato: «Altrimenti siete tutti morti».

Avvia la nuova legalità a colpi di decreti la Rada, o meglio quel che resta del parlamento ucraino, che per prima cosa ha autorizzato la liberazione dell’ex premier Julia Tymoshenko. È la straricca oligarca ex premier, condannata per abuso d’ufficio per un contratto di fornitura di gas che favorì smaccatamente gli interessi di Mosca, e inoltre già responsabile di una guerra intestina alla Rivoluzione arancione del 2004, contro il leader di quel movimento, Viktor Yushenko.

Per intenderci, è la stessa Julia Tymoshenko che gli esponenti di Forza Italia hanno più volte paragonato, per «innocenza» e «persecuzione» subìta, al «povero» Silvio Berlusconi.

Intanto è scattata la procedura d’impeachment per il presidente Yanukovich, ed è stato nominato nuovo presidente del parlamento il braccio destro della Timoshenko, Oleksander Turcinov. Inoltre, a maggioranza l’aula parlamentare elegge i membri del nuovo governo, a partire da quelli che più possono tornare utili all’uso della forza, come il neoministro degli interni Arseni Avakov, il leader che guidava gli scontri dalle barricate. Mentre la polizia di Kiev si schiera con EuroMajdan, quella delle regioni orientali si pronuncia contro.

E com’era d’aspettarsi prima o poi, i deputati delle regioni orientali del grande Paese ucraino dichiarano illegittima la nuova Rada e le sue decisioni, mentre Yanukovich sembra avere raggiunto la più sicura Karkiv. Ma ora ha contro anche la rabbia di metà del paese che ad est gli rimprovera la sua «indecisione verso la violenza della piazza» e il suo barcamenarsi tra Ue e Russia, senza poi avere mai preso alcun provvedimento in due anni per risolvere le discriminazioni contro le minoranze (nell’est maggioranze) russe.

Queste storie dall’amaro sapore balcanico purtroppo le abbiamo già viste. Ormai l’Ucraina che abbiamo conosciuto non esiste più, ce ne sono di fatto almeno due e siamo probabilmente all’anteprima della secessione del Paese.

Gli apprendisti stregoni dell’Unione europea hanno aspettato tre mesi per intervenire di fronte alla precipitazione della crisi, quando già da un mese circolavano armi nella protesta ed emergeva il ruolo centrale dell’estrema destra. Apprendisti stregoni perché la proposta di allargamento dell’Unione all’Ucraina non è mai stata accompagnata da una volontà politica, sociale ed economica di concreta integrazione.

Quel che si è manifestato è stato invece il sostanziale disinteresse da parte di un’Unione europea solo monetaria, divisa al suo interno e che deprime gli interessi sociali fino alla miseria (guardate i dati sulla mortalità infantile in Grecia aumentata del 43% dopo l’avvio delle politiche monetarie della Ue) in onore al principio della governabilità e del pareggio di bilancio, mentre privilegia gli interessi dei grandi gruppi finanziari. Questa è l’Europa “reale” e vuota che ha favorito la progressione delle profferte russe, invece concretissime. Un bel sostegno alla precipitazione degli eventi l’hanno data anche quelle forze politiche “democratiche” e quei media italiani – gli stessi che pure non esitano a definire il movimento dei NoTav come «terroristi» – che hanno taciuto di fronte al fatto che da settimane il movimento cosiddetto EuroMajdan, non solo a Kiev ma soprattutto a Leopoli, si era armato fino ai denti.

Ora, bene che vada, gli apprendisti stregoni dell’Unione europea erediteranno, con un allargamento d’urgenza magari deciso a tavolino e per evitare un ulteriore bagno di sangue, non un Paese unito ma metà Ucraina. Quella occidentale, più povera e disperata, guidata dall’estrema destra nazionalista xenofoba e antisemita che da tempo fa parte della coalizione di partito della “pasionaria” Timoshenko, la principessa del gas, l’eroina della nostra epoca che, come ha ricordato lo scrittore russo Limonov, «si è fatta icona a tutti i costi». E già l’Ue annuncia che consegnerà il paese ai provvedimenti salvifici del Fondo monetario internazionale in alternativa ai pericolosi prestiti di Mosca.

Ancora una volta l’Europa è tragicamente fottuta.

Il destino delle sue sorti, e ai confini sensibili, sembra pericolosamente tornare nelle mani degli Stati uniti e della Russia che, forse, ancora possono scongiurare in extremis e nonostante le loro gravi responsabilità e coinvolgimenti, un nuovo scenario jugoslavo. Ma probabilmente è troppo tardi anche per questa vergognosa ritirata europea.