Gli scontri armati nell’est. La propaganda alimentata da tutti, senza sosta. La sensibilità storica, con i suoi tic non facilmente controllabili. La battaglia russo-ucraina corre lungo tanti fronti. C’è anche, ovviamente, quello del gas. Con una deadline imminente e sensibilissima.

Entro domani a mezzanotte Naftogaz, l’azienda di stato ucraina che gestisce il comparto, è tenuta a saldare una parte del debito che ha accumulato tra novembre e marzo nei confronti della controparte russa, Gazprom. La cifra ammonta a due miliardi di dollari, su un totale di tre e mezzo. Un altro assegno, da 500 milioni, va staccato entro il 7 giugno. È per le forniture di maggio. Così s’è deciso lunedì a Berlino, quando ucraini e russi si sono accomodati a un tavolo convocato dal commissario europeo per l’energia, il tedesco Guenther Oettinger. Venerdì, se Naftogaz pagherà Gazprom, si tornerà a discutere. Sempre a Berlino e sempre con la regia di Oettinger.

Stavolta l’oggetto saranno i prezzi, con Kiev chiede a Mosca di abbassarli. In caso contrario i russi potrebbero chiudere i rubinetti. Con conseguenze importanti a livello industriale, tanto per l’Ucraina quanto per l’Europa, che dalla Russia importa tanto gas, e lo fa attraverso i tubi dell’ex repubblica sovietica. Si capisce, così, l’interesse di Oettinger a prendere il pallino in mano.

La strada per l’accordo è meno lineare di quel che sembra. Ieri Kiev ha calato una carta a sorpresa, spiegando che il Cremlino, annettendo la Crimea, s’è preso anche due miliardi e più di metri cubi di gas stoccato, per un valore di un miliardo di dollari. Il primo ministro in carica dopo Maidan, Arseniy Yatseniuk, ha esplicitamente chiesto che Mosca pompi verso l’Ucraina quanto saccheggiato. La Russia, dal canto suo, fa sapere che non ha sottratto alcunché. Due sono le possibili ragioni a monte della rivendicazione di Yatseniuk.

Da un lato, si ipotizza, si cerca di spuntare qualcosa in extremis su quando dovuto. Le casse dello stato sono allo stremo, e l’idea di bruciare i primi soldi prestati dal Fondo monetario per mettersi in regola con i pagamenti non è certo esaltante. Dall’altro lato si può credere che il governo ucraino voglia legare questa faccenda ai combattimenti in corso nell’est del paese, che nelle scorse ore, a Donetsk, sono stati particolarmente duri. Sconto sul debito e sulle future forniture in cambio dell’allentamento della pressione militare sui ribelli filorussi, se non della loro smobilitazione: potrebbe essere questa la richiesta Kiev.

Anche Mosca, comunque, dà l’impressione di tenere i due il piano del gas e quello dell’est ucraino appaiati, per indurre Kiev a far tacere i cannoni e promuovere una riforma federale. Ci sono tante leve da azionare, insomma. Ma lo spazio di manovra è angusto.

Nel frattempo Yatseniuk ha anticipato l’ipotesi dell’arbitrato internazionale, se entro mercoledì non si trovasse l’accordo sul gas. Se invece arrivasse, il prossimo passaggio sarà trattare sul prezzo. Kiev paga una tariffa più alta di quelle applicate da Gazprom ai clienti comunitari. È di 485 dollari per mille metri cubi e si rifà agli accordi del 2009 tra Vladimir Putin e Yulia Tymoshenko, quando quest’ultima era primo ministro. L’intesa pose fine al blocco delle forniture all’epoca deciso dalla Russia, ma aprì anche la strada al processo e alla successiva condanna comminata durante la presidenza Yanukovich all’ex pasionaria di Kiev, accusata di aver firmato accordi così svantaggiosi da spingere il paese sul lastrico. Ma questa è una storia vecchia.

Adesso Kiev chiede a Mosca di pagare 268,5 dollari per mille metri cubi, cioè la tariffa concordata a dicembre da Putin e Yanukovich. Fu annullata, riportando in vigore quella del 2009, dopo che lo stesso Yanukovich fuggì dal palazzo. E il paradosso, uno dei tanti di questa crisi ucraina, è che quando fu siglata il movimento della Maidan gridò al patto con il diavolo.