Sullo sciopero dei trasporti locali indetto da Usb Lavoro Privato e Cub Trasporti contro il Jobs Act, il taglio dei servizi del welfare locale, il blocco del contratto da otto anni, il monopolio della rappresentanza sindacale e l’extralavoro previsto per Expo, ieri a Milano si è avventata Uber. I possessori di un biglietto dell’azienda dei trasporti milanese (Atm), oltre che di uno smartphone, hanno potuto godere di una corsa gratis nelle auto della multinazionale dalle 18 alle 22. Secondo i sindacati allo sciopero hanno aderito il 50% dei lavoratori a Bologna, il 40% nelle aziende napoletane Anm e Ctt, il 30% a venezia-Mestre, il 37% delle vetture di turno a Roma.

Alla vigilia, l’aggressiva campagna di marketing del colosso americano aveva suscitato una reazione della Cgil non certo conciliante. «Fanno come i fascisti – ha detto Giovanni Maggiolo (Unica Taxi Filt-Cgil) – che guidarono i tram durante la guerra, con i tranvieri in sciopero. Una proposta bieca, tutto pur di farsi pubblicità». «I crumiri di #Uber come #fascisti sui tram » ha rincarato la dose ieri su twitter Giorgio Cremaschi. In una nota l’Unione Sindacale di Base (Usb) ha parlato di «volgare sabotaggio» e «comportamenti palesemente antisindacali» da parte di Uber anche a Roma e Torino, un episodio già registrato ai danni degli autoferrotramvieri di Genova durante uno sciopero dello scorso 10 marzo. Usb ha annunciato azioni per la difesa del «già precario diritto di sciopero». Secondo il sindacato Uber ha innescato una “guerra tra poveri” tra gli operatori del servizio taxi e ora contro i lavoratori del trasporto pubblico locale.

Di tutt’altro avviso è la società di «ride sharing» che ha sede fiscale in Olanda. La general manager di Uber-Italia, Benedetta Arese Lucini, ha presentato l’iniziativa come una «promozione»: «Con lo sciopero dei mezzi – ha spiegato – le città diventano meno accessibili e spostarsi è quasi impossibile. Con questa iniziativa abbiamo voluto fare la nostra parte per aiutare i milanesi a muoversi in un momento di difficoltà». A parte il tentativo di sabotare uno sciopero nazionale di 4 ore, l’operazione ideologica dell’azienda è insidiosa.

Uber ha giustificato la sua azione in nome dell’«economia della condivisione» (sharing economy). «Il nostro è un progetto ampio che favorisce la mobilità sostenibile e integrata e promuove la sharing economy anche e soprattutto a Milano» ha aggiunto Arese Lucini. L’operazione è stata recepita su twitter, probabilmente da account di «influencer», a sostegno del « libero mercato» contro i sindacati e le «corporazioni» dei tassisti che hanno già manifestato contro Uber a Torino, ad esempio.

L’economia della condivisione, espressione ambivalente concepita sia per condividere beni e servizi in comune, sia per implementare un modello commerciale, è diventata l’occasione per accelerare i processi di «desocializzazione» e, nel caso dello sciopero dei sindacati di base, per precarizzare il diritto di sciopero a difesa dei servizi pubblici e del welfare locale già dimezzati dai tagli a cui sono costretti comuni e regioni dall’austerity. Ieri i cittadini sono stati gli involontari protagonisti di un conflitto tra organizzazioni che difendevano il welfare e un’azienda che agisce in uno scenario di accumulazione capitalistica, quella che lo studioso Michael Bauwens ha definito «netarchical o distributed capitalism».

Uno scenario nuovo che interroga anche le tradizionali forme di mobilitazione adottate dai sindacati nel settore della mobilità, un bene comune molto importante.

A completare un conflitto ancora poco conosciuto in Italia, ma pienamente agente da almeno un anno, è giunta ieri una notizia più che significativa: Uber è stato nominato partner ufficiale per il trasporto delle persone al padiglione statunitense all’Expo 2015 dedicato al tema «American Food 2.0: Uniti per nutrire il pianeta». Il boicottaggio dello sciopero dei sindacati di base è così diventato l’occasione per lanciare un’iniziativa pro-Expo.

Dopo Mc Donald’s e Coca Cola, un’altra multinazionale Usa si aggiunge al corredo degli sponsor di un’esposizione che sovrappone i principi etici («nutrire il pianeta» o i «beni comuni») con il capitalismo «on demand» ispirato ad una versione commerciale della «sharing economy».

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