Il terremoto di Kiev non ha tardato a farsi sentire a Leopoli, la principale città dell’occidente ucraino. Alla notizia degli scontri furibondi di lunedì nella capitale, con la loro coda di sangue, il campo anti-Yanukovich s’è scatenato, assaltando e occupando le sedi di governo regionale, polizia e procura generale. Leopoli non è nuova a queste fiammate. Ce ne sono state diverse, da quando il 21 novembre, con il no di Yanukovich agli accordi commerciali proposti dall’Ue, è scoppiata la crisi. Impulso e coordinamento sono venuti principalmente da Svoboda, il segmento più a destra dell’opposizione. Un partito ultra-nazionalista, con tendenze anche fasciste ma capace, come per le politiche del 2012, quando andò in doppia cifra, di intercettare il voto di protesta. Leopoli è la roccaforte di Svoboda. Anche gli altri partiti dell’opposizione, quelli di Yulia Tymoshenko (Patria) dell’ex pugile Vitali Klitschko (Udar), rastrellano comunque parecchi voti da quelle parti. Scarso il radicamento del Partito delle regioni di Viktor Yanukovich, che a gennaio, tra l’altro, ha chiuso i propri uffici cittadini. Una vera e propria ritirata.
A ovest, Leopoli non è un caso isolato. Pure Ivano-Frankivsk, Ternopil, Lutsk e Rivne, città dove le opposizioni hanno un certo peso elettorale, schiumano rabbia contro il presidente e la sua cricca.
Sull’altro versante del paese, a est, i sentimenti sono opposti. Le proteste contro Yanukovich sono state sporadiche e il Partito delle regioni, che qui è egemone, le ha contenute azionando la macchina della propaganda e mobilitando i militanti, spalleggiati dai titushki, provocatori in odore di malavita. Euromaidan – il nome del movimento anti-presidente – è percepito come una rognosa banda di golpisti.
L’astio è ancora più esplicito in Crimea, nel sudest. È una regione particolare. Fino al 1954 faceva parte della Russia sovietica. La maggioranza etnica è russa. L’unico caso, in tutta l’Ucraina. Nel porto di Sebastopoli, inoltre, Mosca tiene ancorata la flotta sul Mar Nero, secondo accordi stabiliti al tempo dell’indipendenza ucraina (1991) e rinnovati dopo che nel 2010 Yanukovich è salito alla presidenza.
Durante la crisi i politici della Crimea hanno ripetutamente accusato Yanukovich di essere troppo morbido con Euromaidan, hanno votato la messa al bando di Svoboda e rivendicato inoltre maggiore autonomia amministrativa. Qualcuno s’è spinto a formulare la richiesta di unione con la Russia. Emerse anche al tempo dell’indipendenza del 1991.
Non è difficile capire, osservando quanto avviene a Leopoli e in Crimea, che il solco che storicamente corre storicamente lungo l’asse est-ovest, temperato da una fascia mediana neutra che da Kiev scende a sud seguendo grosso modo il corso del fiume Dnepr, si sta pericolosamente approfondendo.
L’ovest ucraino è la culla di un’idea nazionale cucita in buona misura sul rifiuto dell’influenza russa. Leopoli, a lungo controllata dalla Polonia, ne è il centro di irradiazione. La chiesa greco-cattolica, di rito orientale ma subordinata al Vaticano, uno degli interpreti, nonché grande fattore di discordia tra papato e patriarcato di Mosca. Secondo il quale i greco-cattolici, che hanno esplicitamente sostenuto Euromaidan, sono la longa manus pontificia nelle terre ortodosse.

Sull’altro lato del paese, a est (con Odessa, nel sud), la Russia proietta la sua ombra, con la Crimea a fare da avamposto. I legami tra queste regioni e Mosca sono industrialmente, economicamente e culturalmente strettissimi.
Di questi tempi si evoca lo spettro della secessione. Dell’ovest dall’est o viceversa. C’è chi vaticina la ripetizione del dramma jugoslavo. Forse non s’arriverà a tanto, ma è possibile che lo squilibrio regionale si aggravi, con le due anime del paese decise a difendere con vigore le proprie specificità, rimarcando le diversità.
Non è casuale, quindi, che si parli di riformare la costituzione in o federale. L’hanno fatto i comunisti di Petro Symonenko, alleati in parlamento del Partito delle regioni. Per Symonenko la federalizzazione è l’unico modo per tenere insieme, riconoscendone le caratteristiche, i due polmoni ucraini. Anche qualche esponente del Partito delle regioni ha caldeggiato la prospettiva. Così come Viktor Medvedchuk, capo del movimento Scelta ucraina, ostentatamente filorusso. La cosa, dato che Medvedchuk è considerato il pasdaran di Putin a Kiev, ha portato a pensare che il Cremlino sarebbe orientato a rinunciare all’influenza su tutta l’Ucraina, riservandosi il controllo sullo spicchio più gestibile: l’est, logicamente.
Dall’altra parte della barricata la proposta è stata seccamente respinta. Da tutti. Per l’opposizione, la federalizzazione ucciderebbe l’unità dell’Ucraina, ammesso che esista davvero. Quanto a Yanukovich, ha riferito che la rimodulazione dei rapporti centro-periferia non è in agenda. Tuttavia la perorò dopo la rivoluzione arancione, con lo scopo di compensare la sconfitta inferta dal duo Yushchenko-Tymoshenko. Una volta al potere, però, ha riposto il discorso. Forse perché l’idea di governare tutto il paese dà adrenalina. Forse perché gli oligarchi, i veri padroni del paese, con l’enorme peso industriale e mediatico che hanno, non vogliono erigere una staccionata in mezzo alla riserva di caccia.