Gigolò per caso assomiglia a una jam session dove due strumenti si alternano, potrebbero essere un clarino e un contrabbasso che compiono assoli di qualità: il clarino per il limpido tono delle battute di Woody Allen (oltre che suo strumento prediletto), sempre all’erta nel gioco metropolitano, il contrabbasso per il tono di voce di Turturro. I suoi silenzi, le pause, gli sguardi (e ci viene in mente un esempio lampante, l’uso dello strumento dominante, il fraseggio di Charlie Mingus in contrappunto con la frenetica batteria di Dannie Richmond). Come il basso colpisce il plesso solare così Turturro rende eccitante la sua presenza senza fare un movimento di troppo tra le svariate bellezze del cast.

C’è Sharon Stone di professione «dermatologa» come a saggiarne la sua stessa pelle, esibita in tutta la sua estesione, poi Avigal (Vanessa Paradis) l’intoccabile vedova del rabbino, ortodossa, con sei figli praticanti, Sofia Vergara, la venere di Acapulco che si offre sullo schermo nella sua potenza miliardaria: è la materia prima del nuovo lavoro di Turturro-Fioravante.

Commedia della crisi economica, del crollo del capitalismo, alla chiusura della storica libreria il proprietario Murray (Allen) lancia all’amico la nuova idea di business: lui procurerà le facoltose dame, Fioravante si presterà a fare il gigolò, non c’è che da stabilire le percentuali. Jam Session, improvvisazione: è sicuramente nata così l’idea del film, da un «rovesciamento» di senso, da effetti speculari di celebri citazioni cinematografiche che potessero già da sole creare l’effetto commedia sexy come American Gigolò o Basic Instinct, più l’effetto inquietante della vedova del rabbino portatrice di parrucca alla Psycho, con riflessi vagamente androgini.

Woody Allen scala i toni più alti del cinismo tra giochi di parole e situazioni di difficile controllo, battute a raffica secondo il suo stile: Murray è sempre circondato da troppa gente, la famiglia numerosissima, la comunità ebraica del quartiere che lo marca stretto, i ragazzi delle partite di baseball. E poi c’è la ronda di quartiere capeggiata dal poliziotto (Liev Schreiber) che veglia sulla buona condotta di Avigal e vuole far chiarezza sugli andirivieni dei due amici. E neanche la scelta di Schreiber è casuale, visto che confessa un pizzico di gelosia per la bella vedova, ma è riconosciuto come il miglior attore shakespeariano del momento, Otello in testa.

Murray si muove come fuggendo sul pentagramma delle note del clarinetto. Si alternano note di malinconica solitudine, ma anche senza arrivare agli strazianti assoli di tromba di Chet Baker, mai neanche tentati perché fuori da questo quadretto di sopravvivenza metropolitana, il film si mantiene su toni decisamente meno gravi così che quando la tensione si allenta sia ben chiaro che di gioco si tratta, e che il gioco ha termine.