Al teatro Valle occupato è iniziata la campagna elettorale europea. L’Europa è lo spazio di una battaglia comune, ha detto il leader della sinistra greca di Syriza, Alexis Tsipras, davanti ad oltre settecento persone (un migliaio sono rimaste fuori), non la scena dove i leader nazionali continuano le loro baruffe domestiche in nome del bilanciamento dell’austerità. «Dobbiamo rompere il muro di vetro dogmatico del neoliberismo» ha detto Tsipras, prima in inglese e poi in greco con lentezza e gravità scenica, tradotto dal nostro corrispondente da Atene Argiris Panagoupulos.

A differenza del coetaneo Matteo Renzi, il politico trentanovenne sostiene che «non basta essere giovani per fare una politica giusta», ma bisogna traguardare i confini nazionali, anche per restituire alla sinistra italiana depressa, e ultra frammentata, la prospettiva transnazionale di un’Europa politica e democratica. A questo punto l’incontro romano è diventato una seduta di training motivazionale. Perché, per ben due volte, dalla platea è salito un moto di sfiducia in se stessa. Quando poi Tsipras ha ribadito che per l’esperimento virtuoso di Syriza (i sondaggi la danno al 28% in Grecia) è stato fondamentale il patrimonio culturale dei comunisti italiani (da Gramsci a Ingrao e Berlinguer) e forse, riteniamo noi, anche la sinistra No global più contemporanea contro il neoliberismo e quella contro l’Impero, la platea ha ribadito l’incredulità. Risate isteriche.

A quel punto Panagoupulos è esploso chiedendo: «Ma perché ridete? Guardate che la sinistra italiana è fondamentale. Noi non abbiamo mai vinto un referendum sull’acqua pubblica. In Grecia l’acqua viene privatizzata». E Tsipras, con sottile umorismo, ha rassicurato: «Nessuno è profeta in patria, ma invece di autofustigarvi – ha detto – prendete le cose positive, andate avanti. Pratichiamo l’”ottimismo della volontà» (dicendo di criticare amichevolmente Gramsci, ma in realtà cogliendo la citazione). E poi ha precisato: «Mettiamo le differenze da parte, facciamo un passo indietro, per farne moltissimi in avanti tutti insieme». Non è stata una catarsi, ma il messaggio è stato condiviso con applausi liberatori.

Ieri il Teatro Valle è stato eletto a simbolo di un europeismo fondato sulle lotte sociali e una democrazia dell’autogoverno. È stato Tsipras a volerci andare, rinunciando a sedi di partito e rifiutando l’idea di affittare una sala nella Capitale. Il Valle è ben conosciuto ad Atene, dov’è in contatto con il gemello teatro Embrios, occupato sei mesi dopo il Valle nel dicembre 2011. Gli attivisti del teatro viaggiano da anni in Europa, il loro modello di auto-governo e di nuova istituzione della democrazia radicale è ben conosciuto anche dai comitati di base territoriali che costituiscono lo scheletro sociale di Syriza. Più volte hanno incontrato il responsabile comunicazione e quello dei giovani del partito greco. Alla luce di questi contatti, e delle reti che gli attivisti e gli artisti hanno creato, Tsipras ha scelto il Valle non come un contenitore, ma come soggetto politico.

Il leader greco ha scandito con chiarezza l’atto di accusa contro il pactum sceleris tra l’Europa conservatrice e quella socialdemocratica in nome del neoliberismo e dell’austerità. Candidato della sinistra alla presidenza dell’Unione Europea, sostenuto alle elezioni di maggio da una lista omonima («il nome sarà deciso da un referendum online» – ha detto Guido Viale – sarà autofinanziata dai cittadini e non dai partiti») Tsipras chiede un New Deal europeo, la rinegoziazione radicale di tutti i trattati europei, e del debito pubblico, la libertà di movimento per i migranti e l’abolizione del trattato Dublino II, la trasformazione ecologica della produzione e una lotta contro le diseguaglianze. Si schiera a fianco della Fiom di Landini nella sua battaglia contro la Fiat di Marchionne, chiede politiche di inclusione sociale. Crede che i precari, i lavoratori dipendenti e autonomi, gli agricoltori, gli insegnanti possano ritrovarsi in una coalizione sociale dentro e fuori dagli stati di appartenenza. L’obiettivo è un’alleanza tra le democrazie dell’Europa del Sud contro l’Europa «germanizzata».

«L’austerità è una guerra – ha detto – e la Grecia e i paesi dell’Europa del sud sono il fronte dove bisogna combatterla. Nessun popolo europeo deve vivere il nostro calvario. Uniamoci, perché noi siamo il nuovo che è già nato in questo continente».

Il totem polemico di Tsipras è la tentazione del ritorno allo Stato-Nazione. Nelle sue parole risuona il desiderio di rivincita contro la sinistra europea, e in particolare dei socialisti francesi che nel 2004 affossarono con Fabius il referendum sulla Costituzione europea, in nome del protezionismo e del sovranismo. Dieci anni dopo, in uno scenario cambiato dove in Italia spicca Grillo (a cui Tsipras fa i complimenti per avere intercettato il «malcontento», ma rimprovera la mancanza di un progetto politico europeo), la battaglia è sempre contro le sinistre neo-sovraniste e si è radicalizzata in chiave anti-liberista (contro il colpo di stato guidate dalle «grandi coalizioni» in Germania o in Italia) e anti-fascista (contro Alba Dorata o il Front National).

«Le destre, i populismi e i neo-fascismi europei – ha detto – si presentano come forze anti-sistema, ma in realtà lo rafforzano». «L’Europa oggi è lo spazio della lotta di classe, sociale ed economica, è il campo privilegiato dalla sinistra per cambiare gli equilibri a favore di chi lavora, di chi è precario o disoccupato».

«La guerra che combattiamo non è tra gli Stati o tra i popoli – ha ribadito – tornando alla svalutazione competitiva delle monete nazionali. Oggi è contro i banchieri e il capitale finanziario. Per questo dobbiamo cambiare la costituzione politica e materiale dell’Europa». E poi, prima di salutare l’intero teatro in piedi: «Non sono il capo di un nuovo partito – ha concluso Tsipras – sono come voi e vi porto l’unità che ha portato Syriza ad un passo dal governo».

A garanzia della lista italiana che porterà anche il suo nome, Tsipras ha sottoscritto l’appello promosso da Barbara Spinelli, Guido Viale, Marco Revelli, Luciano Gallino, Andrea Camilleri. Un segno a garanzia di un progetto a cui dovrebbero aderire i movimenti, la “società civile” e i partiti della sinistra (Rifondazione e Sel) che continuano a guardarsi da lontano.