Il sindaco Marino, nel suo intervento di ieri su questo giornale, risponde a molte delle questioni che gli sono state poste, ma certo il dato più inquietante e irritante è come molte di quelle «urgenze» e ingiustizie che i cittadini romani si trovano ad affrontare, vengano in grandissima parte diritte diritte dalla precedente amministrazione a guida Alemanno. Oggi le fazioni e gli schieramenti sono dentro il Pd romano, rappresentativi di interessi che fanno capo a chi li sostiene. Poi ci sono punti e settori, come parte della cultura, dove i suoi predecessori, per insipienza e insicurezza, sono stati «fermi». Hanno razziato dove si sentivano forti (come al teatro dell’Opera), si sono interdetti e astenuti da ogni iniziativa in altri, come sul Teatro di Roma.

Ora sta per chiudersi la settimana più difficile dell’anno per l’intera giunta Marino: bilancio in faticosa definizione; lunedì scorso, ricorrenza del natale di Roma con branchi di centurioni in bella mostra e regia colta di Piero Angela; oggi e domani l’invasione di centinaia di migliaia di persone per acclamare i papi santi, e soprattutto applaudire quello vivente.

In queste stesse ore, il sindaco Marino è alle prese con un problema, quello della scelta della direzione del teatro di Roma (ovvero di chi disegnerà in buona misura la copertina e il profilo culturale dei prossimi anni della città, in Italia come all’estero), in una situazione che sarebbe tragicomica se non fosse disperata. C’è stata, come usa ora, tutta una serie di proposte, candidature, vagli, addirittura dei provini dei candidati «finalisti» (ovvero sopravvissuti alla falcidie dei massmedia) da parte del cda, che a sua volta ne ha riferito al sindaco. Quindi proprio nelle mani di Marino sta la famosa «patata bollente».

Perché si ricomincia tutto da capo dopo mesi e mesi di attesa, e l’incredibile «caso Cutaia» chiuso frettolosamente dal neoministro Franceschini che ha rimandato al ministero (dopo due mesi di lavoro a tempo pieno all’Argentina) l’alto dirigente che proprio «in quanto tale» si è viste sbarrate le porte dello stabile. Sulla scelta del nome poi si registra da tempo una vistosa festa pirotecnica. Sui giornali son passati decine e decine di nomi con improvvisate qualifiche, e anche sul web piovono a raffica interventi, crociate e «chiamate a raccolta» da parte di più o meno interessati (più probabile il primo caso) esperti. Stupisce semmai che le molte persone che nel teatro vivono (attori, tecnici, organizzatori) siano però rimasti in un apparente e mortificato disinteresse.

Mentre in privato sono prodighi di battute e «voci» di cui si fanno con piacere corridoio, non c’è stata nessuna manifestazione o dichiarazione pubblica perché l’Argentina abbia una buona direzione. Nessuno si sogna di dire le poche caratteristiche necessarie a un incarico così delicato: la conoscenza della materia anche nei suoi aspetti più concreti; la capacità di trovare interlocutori disposti a investire nel teatro (anche se questo sarebbe compito precipuo del cda) in un paesaggio che va dagli sponsor agli attori importanti; l’autorevolezza nell’ambiente guadagnata sul campo scenico; la conoscenza non minoritaria dei colleghi stranieri con cui intessere rapporti e progetti.

Sembra l’uovo di Colombo, ma non lo è. La prima dote necessaria sembra ancora oggi rimanere la logica dell’appartenenza politica, resa variopinta dall’esercito di dame e damazze di ogni età in piena campagna elettorale (come fosse una citazione dei trenini de La grande bellezza). Fino al paradosso per cui i mille rivoli del Pd romano si dividono nell’appoggio a due candidati diversi, Antonio Calbi e Renato Quaglia. Situazione curiosa, per quanto entrambi non abbiano mai rinunciato alle attribuzioni politiche. Il primo è il dirigente massimo del teatro presso il comune di Milano, cui arrivò con la sindaca Moratti e l’assessore Sgarbi.

Ha diretto per un breve periodo il romano teatro Eliseo, con una politica di commistione dei generi e dell’identità della sala che fu di Visconti, che da quel momento ha visto precipitare abbonati e frequenze. Stesso principio al Mittelfest, che nell’anno della sua direzione ha rinunciato ad ogni caratterizzazione «mitteleuropea», per la cui cultura era stato fondato. Quaglia, dopo una esperienza organizzativa alla Biennale veneziana conclusasi con una fuoruscita improvvisa, è stato poi alla direzione del Napoli Teatro Festival, imposto dal governatore Bassolino. Entrambi hanno lavorato con grandi finanziamenti che oggi sono drammaticamente finiti, e dalla prospettiva burocratica o politica, sembrano lontani entrambi dal lavoro certosino e di grande equilibrio di un teatro dove tutto deve essere condiviso e fatto insieme.

Le altre due candidate sono donne, Debora Pietrobono e Natalia Di Iorio, entrambi organizzatrici teatrali anche se di impari curriculum. La prima paga il prezzo dell’esperienza ancora giovane, oltre al fatto, denunciato da Dagospia, di lavorare come ufficio stampa, attualmente proprio per il presidente del cda del teatro, nella sua funzione principale di direttore di Radiotre Rai.

La seconda lavora in teatro da molti anni, ed ha avuto sotto le sue cure in passato artisti piuttosto importanti da Mario Martone a Spiro Scimone a Danio Manfredini. Oggi gestisce nomi come Toni Servillo e Fabrizio Gifuni, anche se naturalmente ha già dichiarato di doverli abbandonare in caso di nomina. Sembra un bel rebus per il sindaco Marino cui è demandata la scelta, che gli farà sembrare complimenti le benedizioni che gli automobilisti gli rivolgono a canone, nel panorama di crateri delle strade romane.