Le offese sistematiche rivolte a un ministro a causa del colore della sua pelle sono l’ennesimo segnale inascoltato del declino del nostro paese. In un paese psichicamente sano questa violazione dei diritti di un cittadino e, al tempo stesso, della dignità delle istituzioni democratiche sarebbe stata sanzionata severamente. Da noi tutto è permesso perché le cose hanno perso la loro caratterizzazione e specificità per ragioni di necessità che nessuno sa chi ha stabilito. L’accidia che soggiace al fervore dei cambiamenti sperati offusca la nostra vista.

A dispetto delle motivazioni addotte l’accordo tra Renzi e Berlusconi è frutto degli inganni che questo offuscamento promuove. Solo dove l’immobilità, travestita da necessità, detta le regole è possibile che un cittadino sia elevato al di sopra dell’ordinamento giuridico diventando oggetto di un trattamento di eccezione che lo rende diverso dagli altri di fronte alla legge.

Oggi il nuovo che avanza fa in fretta a logorarsi. Perfino quando difende principi importanti e giusti lo fa a prescindere dall’insegnamento della storia: le buone intenzioni finiscono nel nulla se sono perseguite con metodi sbrigativi e si appoggiano a intese opportunistiche realizzate sotto forma di eccezione dalle regole comuni. Viviamo nello spazio claustrale di una stagnazione totale che ricorda la situazione angosciante descritta da Bunuel in «L’Angelo Sterminatore»: un gruppo di borghesi non riesce a uscire dalla stanza nella quale è confinato, nonostante le vie di uscita siano pienamente accessibili sul piano della realtà esteriore, a causa di forze interiori invisibili legate all’inerzia che sottende le loro dinamiche (e la loro mentalità) di gruppo. La feroce critica di Bunuel, che andava al di là della denuncia della società franchista, della chiesa cattolica e della borghesia, è quanto mai attuale. Lo stato di eccezione in cui versiamo non è né quello di una legislazione di emergenza né quello di una rivoluzione che depone un ordinamento giuridico per sostituirlo con un nuovo. Ci troviamo piuttosto dentro un processo di lenta ma inesorabile alterazione della relazione tra l’anomia del desiderio (nella sua forma sorgiva) e l’insieme delle regole che sostengono la sua socializzazione.

La posta in gioco in questa relazione è la possibilità di trasformare il disordine di cui è foriera la pulsione in quanto espressione di vita in un ordine che garantisce il rispetto e la permanenza del suo oggetto e quindi la sua soddisfazione reale. Il disagio della civiltà deriva dal fatto che questa trasformazione tende a slittare difensivamente nella costituzione di un ordine chiuso che sostituisce le relazioni di desiderio con i rapporti normativi, di forza. Dal momento che non può prevedere altro che la sua perpetuazione, la norma antagonizza la libertà del desiderio e quindi la sua soddisfazione. Nella nostra epoca la repressione delle pulsioni ha raggiunto un limite intollerabile creando un’imponente domanda di liberazione la cui soddisfazione richiede una rivoluzione del nostro modo di pensare le regole e il diritto. La resistenza al cambiamento che questa prospettiva comporta, alimenta uno stato di eccezione permanente che non è a-nomia ma iper-nomia: dittatura di una norma non scritta che (come legge incontestabile, «pura») rescinde il legame della regola con il godimento.

Sotto l’inconcludente effervescenza di superficie della nostra esistenza prende forma la violenza più distruttiva: l’espansione di una materia psichica inerte che sostituisce la carne viva del desiderio e cancella il movimento della vita.