Dopo settimane di stallo sul tavolo dei ministri Ue dell’Industria, si sblocca il percorso legislativo della direttiva sull’etica aziendale (nota come Corportate sustainability due diligence directive, Csddd), che impone nuove regole per la sostenibilità sociale e ambientale delle imprese. Il testo che ne esce, però, è fortemente sbilanciato in favore degli industriali, che dopo l’accordo trovato lo scorso 14 dicembre tra il Consiglio (in rappresentanza dei governi dei 27), e gli europarlamentari, hanno fatto scendere gli standard della legislazione europea attraverso pressioni lobbistiche a cui hanno dato voce soprattutto Germania, Francia e Italia.

Dopo settimane di riunioni saltate e rischio archiviazione, la presidenza di turno belga ha presentato una bozza in cui le norme vengono applicate solo alle grandi imprese, quelle con un fatturato da 450 mln di euro in su e che danno lavoro ad almeno 1.000 persone. Ieri, alla fine, il Coreper – l’organismo che riunisce i delegati diplomatici dei governi Ue – ha dato il suo via libera, che dovrà ora essere confermato da Parlamento e Consiglio prima di diventare legge europea.

Proposta dalla Commissione nel 2022, la direttiva è frutto di una lunga campagna degli attivisti per i diritti umani e ong per la sostenibilità ambientale. Nell’economia globalizzata, le merci che finiscono sul mercato nei paesi ricchi vengono quasi sempre dal sud del mondo in condizioni di sfruttamento dei lavoratori, se non addirittura di semi-schiavitù, oltre ad aver un impatto ambientale sulle comunità locali. L’intento della prima legislazione Ue in materia è proprio quello di accertare le responsabilità delle imprese nella catena produttiva o supply chain, troppo spesso invisibile agli occhi dei consumatori quando acquistano abiti, prodotti tecnologici, o usano energia.

Ostile perfino all’accordo al ribasso Business Europe, la Confindustria europea, che parla di «soluzione non praticabile» e invita i co-legislatori Ue a una discussione ulteriore, dato «lo stretto margine di approvazione» per le 10 astensioni in Coreper. Eppure, secondo calcoli elaborati dall’olandese Centre for research on multinational corporations (Somo), il numero di imprese toccate dall’attuale versione della direttiva si riduce di quasi il 70% rispetto a quanto previsto lo scorso dicembre.

Ne beneficia soprattutto l’industria tedesca, difesa con grande energia dalla Fdp, componente liberale della coalizione semaforo guidata da Olaf Scholz. In cambio del via libera, la Francia ottiene l’esclusione dall’applicazione della direttiva al settore finanziario, mente per l’Italia, delle 2.260 imprese interessate lo scorso dicembre ne rimangono 737, con ulteriore taglio rispetto alle 926 della bozza messa appunto solo la scorsa settimana. «Abbiamo dimostrato che oggi a Bruxelles c’è un’Italia che non si arrende a soluzioni che penalizzano la nostra industria, ma che è capace di continuare a negoziare fino alla fine», esulta da Palazzo Chigi Giorgia Meloni.