Non scherziamo con le parole. Nessun «golpe» è in atto. E al presidente della Repubblica va riconosciuto il gesto di generosità compiuto nell’accettare la sua ricandidatura dopo aver resistito a questa scelta. Non solo per questioni anagrafiche ma perché certo non gli sfugge come la sua rielezione significhi la perpetuazione di un’anomala funzione di supplenza. Del resto già esercitata oltre misura con lo stato d’eccezione che il paese ha vissuto con il governo Monti.

Oggi dobbiamo sopportare un altro grave strappo “presidenzialista”. Un Capo dello Stato che torna a farsi eleggere inaugurando il secondo mandato, stressando la tenuta del sistema democratico: un unicum nella nostra storia. La Costituzione sarà sottoposta a ogni possibile (e purtroppo anche probabile) involuzione antidemocratica.

E’ l’ultimo atto di un copione che ha molti autori e un protagonista assoluto. Se siamo giunti a questo bel risultato dobbiamo ringraziare il gruppo dirigente del Pd. Ridotto a una brutta copia delle tribù democristiane, con il vertice decapitato, il Pd porta la responsabilità di aver procurato al paese, e alle sue istituzioni rappresentative, non il vituperato «stallo», ma un precipizio politico, vibrando una mazzata (un’altra) alla credibilità della politica e del Parlamento.

Con il contributo di molte, autorevoli, complicità siamo ora traghettati da un governo a un altro in fotocopia (predisposto dall’incubazione del gruppo dei saggi), già benedetto dalle gerarchie d’Oltretevere. Monti, Maroni e Berlusconi ne costituiranno il patto di sindacato, con i reduci del Pd relegati al meritato ruolo di consiglieri onorari.

Le destre d’ogni provenienza, torneranno in campo con rinnovata forza, per stringere ancora le maglie dello stato sociale, per confermare l’austerità montiana, per frantumare la coesione nazionale. Il Pd (e tutta la sinistra), non ha la credibilità, né la forza per farsi interprete dell’onda lunga della rabbia popolare. È Grillo, insieme a Berlusconi, il vincitore di questa brutta partita. Sciolto da ogni responsabilità grazie alla dissennata condotta, politica e parlamentare, del Pd, ora il beniamino delle piazze può veleggiare verso quel terribile «cento per cento» rivendicato per il suo non-partito alle prossime elezioni.

In mezzo, tra un populismo cieco e un governo di larghe intese, c’è un’Italia stremata sulla quale infierire.