Haitham Ghanem sprizza felicità mentre descrive le capacità dei panelli fotovoltaici che sta facendo montare sul tetto dell’ospedale “Jenin” di Gaza city. «Non abbiamo l’elettricità ma su Gaza splende il sole per quasi tutto l’anno. Dobbiamo essere in grado di sfruttare questa risorsa enorme per produrre energia pulita». Ingegnere con una laurea conseguita negli Stati Uniti, Ghanem è il project manager di “Sunshine4Palestine”, un progetto concepito assieme a due docenti italiani dell’università di Vienna – Barbara Capone e Ivan Coluzza – per rendere autonomo l’ospedale “Jenin”. «Questa struttura sanitaria lavora solo quattro ore al giorno a causa della mancanza di elettricità – spiega Ghanem – quando i 168 pannelli fotovoltaici saranno in funzione, l’impianto produrrà 80 MWH, in grado di garantire l’operatività dell’ospedale sette giorni su sette e di dare energia a molte delle abitazioni vicine». L’ingegnere di Gaza ci mostra la telecamera che, in streaming, offre l’opportunità ai donatori di “Sunshine4Palestine” di poter seguire in ogni momento i progressi dei lavori di installazione dei pannelli. «La speranza – prosegue Ghanem – è quella di avere benefici sul lungo termine, a favore dello sviluppo della società palestinese in un ambiente sano. Questo progetto rappresenta la chiave di un futuro migliore per questa terra».

“Sunshine4Palestine” potrebbe rivelarsi una soluzione obbligata per la Striscia di Gaza sotto blocco israeliano ed egiziano. Le conseguenze della mancanza di energia in questo piccolo lembo di terra palestinese sono disastrose. La penuria, oltre al costo elevato, del gasolio industriale necessario per tenere accese le turbine dell’unica centrale elettrica è un tormento quotidiano per tutti gli abitanti. Oltre a rappresentare un problema di gravità eccezionale per le strutture sanitarie, gli uffici pubblici e le scuole, l’elettricità intermittente non permette il funzionamento dei deputatori e degli impianti per il trattamento delle acque e una conservazione appropriata per i cibi freschi. Quando Gaza è stata colpita, alla fine dello scorso anno, da piogge torrenziali con allagamenti diffusi, la popolazione è rimasta senza alcuna protezione dal freddo pungente. Non c’era energia. In ogni caso anche nei periodi “migliori”, gli abitanti della Striscia hanno accesso a non più di 12 ore di elettricità. Adesso che l’Egitto ha distrutto i tunnel sotterranei tra il Sinai e Gaza, da dove transitava il carburante a basso costo per la centrale, farebbero carte false per averne almeno sei.

E la situazione è destinata al peggiorare ulteriormente di fronte al deteriorarsi delle relazioni tra il Cairo e il governo di Hamas. All’apertura solo occasionale del valico di Rafah decisa dalle autorità di governo egiziane – nate dal colpo di stato militare del 3 luglio che deposto il governo dei Fratelli Musulmani e il presidente islamista Morsi – in queste ultime settimane si sono aggiunte nuove forme di pressione su Gaza. E se nei mesi scorsi l’Egitto ha fatto pagare alla gente della Striscia l’alleanza tra Morsi e Hamas, negli ultimi giorni si è aggiunto un nuovo decisivo sviluppo.

Il movimento dei Fratelli Musulmani è stato dichiarato una “organizzazione terroristica” in Egitto e ora il Cairo chiede di conoscere le intenzioni e le posizioni di Hamas, che fa parte della Fratellanza. «Gli egiziani dicono che in futuro non potranno cooperare in alcun modo con un governo che è legato al “terrorismo” che colpirebbe il loro Paese. Perciò chiedono che Hamas prenda le distanze dalla Fratellanza, altrimenti le conseguenze saranno molto gravi », spiega al manifesto un giornalista di Gaza che ci ha chiesto di rimanere anonimo. La portavoce del governo di Hamas, ridimensiona l’ampiezza del problema. «Le comunicazioni tra le due parti non sono interrotte – ci dice Israa al Mudallal – all’Egitto chiediamo di considerare Gaza parte del territorio palestinese sotto una brutale occupazione israeliana e di tenere in disparte questioni politiche ed ideologiche. Siamo certo che i nostri fratelli egiziani non mancheranno di aiutare la popolazione di Gaza». L’ottimismo di facciata di Al Mudallal si scontra con le indiscrezioni che circolano a Gaza sul governo che «non sa cosa fare per uscire dal tunnel in cui si trova», mentre la popolazione esausta e depressa chiede un cambiamento vero. Si sussurra che Hamas potrebbe accettare l’imposizione dell’Egitto che vuole il ritorno al valico di Rafah della guardia presidenziale di Abu Mazen, quindi dell’Anp di Ramallah.

Nella morsa dello scontro tra Hamas e l’Egitto è rimasta prigioniera anche la delegazione italiana “Per non dimenticare il diritto al ritorno” (27 persone). Gli egiziani l’hanno bloccata per diversi giorni al Cairo prima di farla partire per Gaza, ora non la lasciano uscire dalla Striscia tenendo chiuso il valico di Rafah. La delegazione che in questi giorni ha portato aiuti all’ospedale Al Awda, visitato i campi profughi e tenuto incontri con associazioni e partiti politici, forse riuscirà a partire per il Cairo questa mattina, se gli egiziani riapriranno, come si prevede, il valico. « Abbiamo vissuto sulla nostra pelle, seppur in millesimi, quello che ogni giorno vivono i nostri amici palestinesi», commenta il giornalista Maurizio Musolino che coordina la delegazione.