Ambizioni grandiose ma un decollo catastrofico, sia a livello critico che di botteghino, per il moderno Prometeo di Johnny Depp, in Transcendence. L’ultimo film dell’attore preferito di Tim Burton, e «campissimo» pirata caraibico Jack Sparrow, arrivato nelle sale venerdì scorso – e uscito anche in Italia – con soli 11.5 milioni di dollari in incassi (budget di oltre 100) è già entrato nella lista ufficiale dei disastri hollywoodiani dell’anno.
Si tratta innanzitutto di un disastro simbolico accolto, dai giornali americani di lunedì, come il segno dello scollamento finale del pubblico nei confronti dell’irriducibile coolness di Johnny Depp. Attore capace di creare motivi di interesse anche nei film più insulsi o decisamente brutti (come Lone Ranger, il megaflop estivo dell’anno scorso), Depp in realtà non può nulla contro l’imponente pretenziosità di Transcendence, e la sua altrettanto imponente piattezza visiva. Prima regia del fedelissimo direttore della fotografia di Christopher Nolan, Wally Pfister (ha girato tutti i film del regista inglese, a partire da Memento fino a Interception), Transcendence ripropone il classico abbinamento di Nolan (che veglia su questo progetto in qualità’ di produttore esecutivo) tra high concept e alta tecnologia, per una premessa che dal mito greco, passando per il Frankenstein di Mary Shelley, è stata poi ripresa al cinema moltissime volte con risultati sublimi (La mosca di David Cronenberg, A.I. di Spielberg), e simpaticamente schlock (The Lawnmower Man di Brett Leonard) ma comunque molto migliori di questo.
L’obbiettivo del dottor Will Caster (Depp) non è quello di creare un sistema operativo che faccia innamorare romantici solitari come Joaquim Phoenix in Her, ma un computer che combini tutto lo scibile a disposizione sul pianeta con la coscienza e le emozioni degli uomini. In altre parole, un essere superiore, che migliori il mondo. Quando un gruppo di giovani tecno-terroristi, convinti che dietro al PINN (Physical Independent Neural Network) di Caster is nasconda in realtà la minaccia di un Hal come quello di 2001 Odissea nello spazio, gli sparano una pallottola di polonio, Caster, morente, convince sua moglie, che è anche la sua collega di ricerche (Rebecca Hall) a usarlo come cavia uploadando il suo cervello sulla drive del computer di sua creazione. Più Ghost che Spike Jonze, la scienziata e il marito digitalizzato, che si guardano sognanti attraverso una moltitudine di schermi da installazione di videoart anni settanta, si stabiliscono in un paesino dell’Arizona semiabbandonato dove costruiscono un megalaboratorio sotterraneo, tutto superfici e corridoi bianchissimi in cui il computer/Will diventa sempre più potente e inizia la sua opera. In breve, come per un culto, una processione di infermi di raccoglie davanti all’ingresso del laboratorio – uno per uno verranno guariti dalle loro menomazioni. Non solo: a corollario della miracolosa guarigione, saranno trasformati in esseri forzutissimi e invincibili, non più essere umani ma parte integrante del megacomputer che li ha salvati. E a quel punto Transcendence diventa L’invasione degli ultracorpi dell’era di internet.
Gli altri colpi si scena del film inclundono un’improbabile alleanza tra i tecno terroristi e l’Fbi, e un finale a sorpresa in cui forse si capisce che Johnny Depp è diventato Dio sul serio, e non Hal. Ma non è chiarissimo. Soprattutto non è chiaro se si tratta di un ghiribizzo richiesto dal contratto di Depp per riscattarsi da queste due ore di tortura completamente priva di humor, o di un bizzarro happy ending voluto dallo studio.
Alla fine, comunque, sono meno le incongruenze ad ammazzare il film che il suo (totalmente ingiustificato) senso d’importanza.