Distruggono la «famiglia naturale» e stanno trasformando la scuola in un «campo di rieducazione» che sforna soldatini di una nuova «religione». La chiamano «ideologia del Gender»,in pratica un’educazione sessuale impartita ai bambini in nome della critica alla divisione dei ruoli sessuali nella famiglia.L’accusa che il cardinale di Genova, e presidente della Cei, Arnaldo Bagnasco ha rivolto ai volumi «Educare alla diversità a scuola» autorizzati dal governo Letta e diffusi nelle scuole primarie e secondarie ha avuto un antefatto a Roma.

Nel novembre scorso l’associazione di promozione sociale Scosse, insieme al centro di documentazione delle donne Archivia, ha vinto una gara indetta dal dipartimento dei servizi educativi e scolastici della Capitale con il progetto «La scuola fa differenza». 36.312 euro per un ciclo di otto corsi rivolto a oltre 200 insegnanti delle scuole per l’infanzia e degli asili con un programma di 176 ore di formazione per gli educatori dei bambini da 0 a 6 anni all’uso di un linguaggio non sessista; al contrasto delle discriminazioni, all’omofobia e la violenza sulle donne; per sostenere la parità tra donna e uomo e la pluralità dei modelli familiari e dei ruoli sessuali. Da fine febbraio, il progetto è stato preso di mira dalla diocesi di Roma con fior di editoriali, dai principali organi di stampa cattolici (Radio Vaticana e Avvenire), seguiti da Militia Christi e dalla stampa locale. Sono stati inviati fax alle coordinatrici e negli ultimi giorni sono state consegnate a mano lettere dal tono minaccioso. Tutto questo in nome di quella che Bagnasco ha definito l’«unità ontologica della famiglia naturale» dove c’è un padre e una madre, rigidamente distinti in ruoli politici e economici.

«Per chi ha figli e lavora nelle scuole – risponde Sara Marini che cura la progettazione esecutiva per Scosse – la realtà è completamente diversa. Oggi le famiglie hanno storie e identità diverse. Gli insegnanti non si rapportano solo con quelle “normali”, ma con quelle allargate, ci sono i divorziati, i bambini che nascono fuori dal matrimonio». La campagna del Vicariato e dalla destra vuole invece negare questa trasformazione. «Non solo – continua Marini – delegittimano la professionalità delle insegnanti con le quali facciamo il percorso di formazione. In fondo sta a loro applicare i contenuti del progetto. Considerata la loro risposta appassionata, l’esito del progetto è positivo». Chiediamo come ci si sente a portare la bandiera del «Gender» nelle scuole. «Questa “teoria” ci viene sbattuta in faccia dalla Chiesa. Noi invece valorizziamo le differenti identità di genere e pensiamo come bambine e bambini si rapporteranno ad un mondo culturale in base al loro sesso biologico e si conquisteranno la libertà di pensarsi oggi e in futuro».

A Nadia Corsi, funzionaria che coordina l’attività pedagogica in un nido di Tor Bella Monaca e in una scuola nel quartiere Giardinetti, chiediamo se il progetto che analizza i libri e le loro illustrazioni stereotipate sia davvero un attacco contro la «famiglia naturale». «A me non sembra molto naturale un modello familiare dove, in situazioni di disagio sociale, la donna che non rispetta il suo stereotipo in cucina meriti le botte, ad esempio – risponde – i ruoli rigidi sono ingannevoli e brutti. La flessibilità nella famiglia è vincente, tanto più se gli educatori danno al bambino una visione più ampia della realtà». Insomma, non favorite l’educazione all’omosessualità, come dicono i cattolici? «Come scuola dobbiamo essere aperti ad accettare ogni bambino oltre tutti gli stereotipi: religiosi o sessuali che siano. Non sta a me giudicare».

Il caso ha indignato la consigliera comunale di Sel Gemma Azuni secondo la quale questi attacchi «inauditi» rivelano «un’insofferenza per le istituzioni laiche». Azuni presenterà un’interrogazione in aula Giulio Cesare affinché il consiglio comunale prenda posizione. «Se finanzia questo progetto – continua Azuni – il sindaco Marino deve avere il coraggio di difendere la pluralità e affermare la laicità e i diritti». Alessandra Cattoi, assessora alla Scuola di Roma Capitale, difende la scelta di una formazione che, precisa, non è obbligatoria, ma volontaria: «È un segnale forte che questa amministrazione ha voluto dare, visto che tra le sue politiche c’è anche il contrasto agli stereotipi di genere e la valorizzazione delle differenze – afferma – Mi conforta l’alto numero di adesioni al corso. Rivela il bisogno che le educatrici hanno di acquisire strumenti per affrontare le diverse realtà familiari e sociali con cui devono confrontarsi ogni giorno».