David Harrower è uno degli autori di maggior spessore e fama della scena british di oggi, conosciuto e apprezzato in tutta Europa. Una ventina d’anni fa, il suo Coltelli tra le galline costituì la prima uscita importante di un giovanissimo Thomas Ostermeier alla Baracke di Berlino; dopo dieci anni, fu Peter Stein a tenere a battesimo a Edimburgo il suo violentissimo Blackbird (doveva farlo anche in Italia, ma dopo la sua rinuncia fu un successo di Massimo Popolizio e Anna Della Rosa). Ora arriva un altro suo testo, forse meno drammatico negli sviluppi, ma altrettanto crudele nell’indagine, ambientato precisamente (si potrebbe dire topograficamente) in certi sobborghi scozzesi, certo familiari all’autore: A slow air (all’Argot Studio con repliche previste fino a domenica 23 febbraio).

Il testo in realtà era già apparso come «studio» alla rassegna di teatro inglese Trend, ma ora assume i tempi e i corpi di un vero spettacolo. Giampiero Rappa (in altre occasioni drammaturgo e attore) cura la regia di questo doppio ritratto familiare: un fratello e una sorella che non si parlano da 14 anni, messi a confronto su due postazioni che li separano con la luce, mentre entrambi raccontano un passato di piccole cose, di grandi conflitti, di incerto tenore di vita. I loro spezzoni di monologo si fanno dialogo, con l’incontro cui li condurrà, quasi per caso, il figlio di lei, che alla vigilia della maggiore età va a trovare lo zio. Il tessuto narrativo è la condizione esistenziale di questo piccolo proletariato inglese (lei fa la cameriera, lui si è affrancato facendosi padroncino di una ditta di posa in opera di piastrelle). La loro piccola quotidianità acquista lo spessore di un mondo (o anche di due, per quanto coordinati e speculari) grazie alla prova che sulle parole di Harrower (nella traduzione di Gian Maria Cervo e Francesco Salerno) danno i due interpreti. Coinvolto ma asciutto Nicola Pannelli, grossa presenza di Narramondo ma anche di Binasco e di Paravidino; mentre Raffaella Tagliabue dà alla svitata sorella la precarietà necessaria ma anche il cuore infinito. Un piccolo spettacolo cult, da godersi e riflettere, mentre si sommano quei piccoli particolari dall’apparenza insignificante che pure costituiscono due esistenze. Finale aperto e sorprendente, un flash proteso altrove.