Un colpo durissimo per la Cgil e per Susanna Camusso. Stefano Rodotà, costituzionalista che non ha bisogno di presentazioni, in predicato per diventare presidente della Repubblica a cavallo dei due mandati di Napolitano (e che potrebbe tornare a correre per la carica, in un futuro non lontano), boccia senza appello l’accordo sulla rappresentanza firmato lo scorso 10 gennaio dalla segretaria.

«Potrebbe contenere profili di incostituzionalità», ha spiegato il professore dal palco del Palanord di Bologna, all’assemblea dei delegati autoconvocati contro l’intesa: visto che «appare contrario anche alla sentenza della Corte costituzionale che ha stroncato l’articolo 19 della legge 300 in quanto lesivo della libertà sindacale».

Ancora, secondo il giurista, non si possono «usare due pesi e due misure»: e qui il parallelo con i profili di incostituzionalità che nelle scorse settimane lo stesso Rodotà ha indicato nell’«Italicum», la legge elettorale figlia dell’accordo Renzi-Berlusconi.

Poi un apprezzamento per la Fiom, anche questo piuttosto bruciante per la Cgil e le sue categorie che oggi sposano il «sì» all’accordo: per Rodotà la Fiom negli ultimi anni ha avuto il merito di aver fatto «una delle più grandi battaglie di politica costituzionale in questo Paese. La battaglia che si sta facendo in questo momento – ha detto parlando alla platea dei delegati e confermando il suo impegno – è «per la libertà sindacale, sequestratà da questo accordo che stravolge il senso della partecipazione. Un problema che non può essere messo da parte». Anche perché il rischio è che proprio da questa intesa – «non so se sono troppo malizioso», ha concluso il giurista – prenda le mosse la legge da più parti auspicata sulla rappresentanza.

Certo Rodotà non è nuovo alle iniziative della Fiom, alle manifestazioni con Maurizio Landini, al sostegno per le tute blu (ha difeso ad esempio gli operai Fiat di Pomigliano). Ma nello stesso tempo, essendo molto amato a sinistra (e non solo, anche dai grillini), in un modo del tutto trasversale e che va ben oltre la Fiom, il suo parere ha un peso politico notevolissimo.

E non solo, la bocciatura è piena anche nel merito: se l’accordo era già parecchio contestato, e in qualche maniera “smontato” dalle critiche della Fiom – ma che per molti potevano sembrare di parte o strumentali – il parere di un intellettuale così insigne lo squalifica senza appello.

Ora sempre di più, potremmo inferire, le sanzioni da comminare ai delegati appaiono chiaramente antidemocratiche. Una vera minaccia per l’esercizio della libertà sindacale: la morte del sindacato come lo conosciamo oggi. A meno ovviamente che non lo si voglia trasformare in un ufficio di servizi vari e di collocamento.

All’assemblea degli autoconvocati è intervenuto anche Landini: il leader delle tute blu Cgil ha spiegato che la Fiom «accetterà il risultato di una votazione, solo qualora essa sia fatta tra i lavoratori delle categorie che hanno firmato contratti con gli industriali, e con regole e modalità trasparenti e democratiche».

«Se le regole saranno queste – ha detto Landini – se si vince, si vince. E se perdo, ho perso». La stessa Susanna Camusso, proponendo esattamente una settimana fa un referendum, aveva detto che si deve andare al voto «così nessuno avrà più alibi». Una resa dei conti che però rischia di incagliarsi, appunto, proprio nelle regole e nella platea che verrà individuata per la partecipazione al voto.

Infine Landini è tornato sull’episodio delle botte a Milano tra la Cgil e Cremaschi: «Io e la Fiom lì non ci eravamo, però non posso non notare una crisi nella democrazia del sindacato. Bisogna smetterla con la gestione autoritaria, si devono poter esprimere tutti, pur condannando le strumentalizzazioni e le azioni violente».