L’udienza del processo contro dodici studenti della Sapienza accusati di «attentato contro gli organi costituzionali», reato che prevede una pena fino a cinque anni di carcere, prevista ieri al tribunale di Roma è stata rinviata per uno sciopero dell’avvocatura. Ciò non ha impedito agli studenti di condurre in molti atenei italiani azioni di protesta contro un impianto accusatorio secondo il quale il 24 novembre 2010, nel pieno della discussione sull’allora decreto legge Gelmini di riforma dell’università, un corteo selvaggio composto da migliaia di studenti che erano stati respinti all’altezza di Montecitorio (sede della discussione parlamentare) avrebbe attaccato e messo a rischio il Senato cercando di entrare dall’ingresso di Corso Rinascimento a Roma.

Nella copiosa produzione video consultabile su Youtube, oltre che dalle foto che ancora ieri giravano in rete, si vedono centinaia di persone con i «book bloc», il simbolo in plexigas e gomma piuma della lotta per la cultura e il diritto allo studio, che esercitano una pressione. Dopo alcuni minuti di concitazione, e a seguito della chiusura del portone, il corteo è arretrato mentre gli agenti di polizia in tenuta antisommossa si sono schierati davanti al Senato. Nessuna colluttazione è avvenuta nel frattempo. Pacificamente, senza colluttazioni o tensioni di ogni tipo, il corteo ha ripreso a manifestare. Il 14 dicembre, giorno della compravendita dei parlamentari che permise al governo di sopravvivere inutilmente per pochi altri mesi, ci sarebbe stata la manifestazione tumultuosa a piazza del Popolo.

Quaranta mesi dopo, mentre l’università italiana agonizza per il taglio da 1,4 miliardi di euro imposto dall’austerità di Tremonti ed è stata desertificata dall’applicazione della riforma Gelmini, quell’episodio al Senato torna d’attualità, ma in maniera del tutto decontestualizzata. Al procedimento che riguardava alcuni dei partecipanti alla manifestazione del 24 novembre (con capi d’imputazione come resistenza aggravata, manifestazione senza preavviso, lesioni a pubblici ufficiali, danneggiamento ad una macchina della polizia e la singolare «violazione di domicilio»), se ne è aggiunto l’altro sull’«attentato contro un organo costituzionale».

In un comunicato congiunto diffuso ieri, gli studenti della «Sapienza in mobilitazione» giudicano questa accusa come un «tentativo di criminalizzare, isolare e punire gli studenti “maggiormente responsabili” comminando pene spropositate». Per loro la «riqualificazione» dell’accusa dimostra che «il dissenso non viene tollerato e chi cerca di opporsi a provvedimenti distruttivi e dannosi viene perseguito e condannato». Gli studenti citano il caso delle lotte No Tav e i recenti arresti ai domiciliari degli esponenti dei movimenti per il diritto all’abitare. «Chiunque lotti per il reddito e per i diritti è soggetto ad una feroce e indiscriminata repressione», aggiungono gli studenti, e subisce accuse per «reati di devastazione e saccheggio, sanzioni amministrative, l’accusa di terrorismo».

Gli studenti lanceranno un appello e avvieranno una campagna per raccogliere firme a sostegno degli accusati da parte di chi, tra docenti e ricercatori, ha condiviso gli obiettivi della mobilitazione contro la riforma Gelmini occupando i tetti delle facoltà, monumenti come il Colosseo, la Mole Antonelliana o la Torre di Pisa. Ieri sono stati esposti striscioni di protesta all’Università Statale di Milano, a Pisa, a Padova, al Politecnico di Torino, a Parma, Palermo, Roma e Napoli per ribadire che il 24 novembre «c’eravamo tutti» davanti all’ingresso del Senato.