Nella sua versione fisica, cartacea, il manifesto è l’immagine vivente della sinistra, prima forte e trionfante, poi sempre più contratta e chiusa in se stessa, nello spazio di pochi fogli.
Da anni il manifesto lancia appelli e sottoscrizioni per la sua sopravvivenza. In crisi economica per due motivi: non vende abbastanza e non ha pubblicità. Entrambi questi motivi sono riconducibili alla rottura dell’ordine del discorso, che il pensiero unico introduce negli anni ’80.
Prima si ragionava in termini di verità e di valore. Dopo, il mercato sostituisce alle teorie il consumo, ed alla ricerca della verità, la ricerca della maggioranza dei consensi, espressa nella rilevazione dei sondaggi.
È un passaggio decisivo, dalla teoria alla concretezza del consumo. E l’avvento della crisi economica non cancella questa nuova logica, semplicemente la capovolge, conservando la centralità della sfera economica, pratica, materiale, rispetto ad una riflessione giudicata «astratta».
Il manifesto nasce come giornale di protesta e di opposizione. Ma oggi protesta ed opposizione non passano attraverso il pensiero critico, ma attraverso la retorica del fare. Bisogna applicarsi alla soluzione dei problemi pratici, contingenti, locali. E la critica non riguarda la teoria, i massimi sistemi, ma gli sprechi della casta, le auto blu, gli scandali dei rimborsi gonfiati e delle mazzette.

Una specie di infotainment, di gossip al contrario, in cui i vip, prima oggetto di venerazione (si pensi al mitico reportage «tutti ricchi» di Iacona e Santoro) sono oggi oggetto di demolizione e di aggressione. Perché, con la crisi, i mitici status symbol degli anni ’80 e ’90, sono diventati simboli di appartenenza alla casta.
Così, anche ora il discorso del manifesto, concentrato sui problemi teorici e sulle sorti della sinistra, rimane un discorso di nicchia e il giornale non riesce a reinserirsi sul mercato. Ma questa fedeltà nei tempi al discorso critico originale, rappresenta non solo un momento di debolezza, ma anche un potenziale elemento di forza.
C’è sempre un momento in cui i giochi cambiano e, chi ha resistito, ha una base da cui ripartire. Lo diceva anche Andy Warhol. Chi ha avuto successo e ha la forza di non cambiare, ritornerà al centro della scena.
Questo è il momento di reagire. Il pensiero unico ha fallito nelle sue promesse di benessere e consumo diffuso. La politica come amministrazione di condominio, anziché operativa, si rivela cinica e senza sbocchi. La crisi presente è in conflitto con tutti gli elementi del discorso degli anni ’80 e ’90.
È possibile una nuova rottura. Bisogna diffondere discorsi diversi. Per questo il manifesto ha ancora un ruolo ed io mi abbonerò per sostenerlo.