Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), che ieri ha presentato a Torino presso la sede di Arpa Piemonte il Rapporto Qualità dell’aria in Italia 2023, ha provato a far vedere il bicchiere mezzo pieno: «Il 2023 è stato l’anno migliore da quando sono disponibili dati di pm10 e pm2.5», cioè del particolato sospeso nell’aria, una miscela di elementi come carbonio, fibre, metalli (ferro, rame, piombo, nichel, cadmio…), nitrati, solfati, composti organici (idrocarburi, acidi organici…), materiale inerte (frammenti di suolo, spore, pollini…) e particelle liquide. Migliore significa che il particolato è in riduzione. Qualche segnale positivo c’è: in molti casi le misurazioni evidenziano un trend negativo, che per il pm2.5 «è decrescente nel 69% dei casi», mentre per il pm10 nel 45% dei casi. Questo però non basta: se invece che ai valori fissati dalla legislazione nazionale si passano a considerare i valori di riferimento dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità delle Nazioni Unite, si scopre che la situazione è ancora fuori controllo.

Nel caso del pm10 risultano superati nella maggior parte delle stazioni di monitoraggio sia il valore di riferimento annuale (93% dei casi), sia quello giornaliero (88% dei casi). Guardando invece al particolato più fine, pm2.5 (la causa principale della cappa di smog delle settimane scorse in Pianura Padana, legato alla combustione domestica, agli allevamenti intensivi, alle auto), il valore di riferimento, che è di 5 microgrammo per metro cubi (μg/m³), è stato superato in 298 stazioni, cioè nel 99,7% dei casi; anche quello giornaliero «risulta superato praticamente ovunque, con le uniche eccezioni di due stazioni di fondo rurale in zona collinare».

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Ecco che cambia tutto, anche perché l’Oms, riporta il comunicato stampa di Snpa, dà le sue indicazioni non per vessarci ma perché «l’inquinamento atmosferico è uno dei maggiori rischi ambientali per la salute». E se la proposta di nuova Direttiva sulla qualità dell’aria in discussione al Parlamento europeo indica la necessità di individuare e attuare rapidamente strategie aggiuntive, la strada da percorrere è ancora lunga e richiede «un’ulteriore – particolarmente rilevante – riduzione delle emissioni». In Italia, però, ormai si tende a giustificare il problema: «Come noto nel bacino padano esistono condizioni meteoclimatiche e orografiche uniche, anche rispetto al contesto europeo, che favoriscono, in particolare nei mesi invernali, l’accumulo degli inquinanti in atmosfera e la formazione di particolato secondario» spiega il rapporto Snpa. Lo ha ribadito in un video-messaggio spedito a Torino il ministro dell’Ambiente, Pichetto Fratin: «Non chiediamo sconti all’Europa, ma pretendiamo che si tenga conto di quella che è la realtà del nostro Paese, che ci rende molto più vulnerabili di altre realtà». Tradotto: l’Italia sta dando battaglia per rendere meno stringente la nuova Direttiva aria e a marzo la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per l’inosservanza di un sentenza della Corte di giustizia Ue, del 2020.

Come se non bastasse, abbiamo un problema anche con ossidi di zolfo e azoto. Nel primo caso il superamento riguarda poche stazioni localizzate in grandi aree urbane in prossimità di importanti arterie stradali: Torino, Milano, Brescia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Catania e Palermo. Invece, in larga parte del Paese si registrano ancora livelli di concentrazione di ozono superiori agli obiettivi previsti dalla legge: solo il 14% delle stazioni rispetta l’obiettivo a lungo termine, pari a 120 µg/m³. Nell’estate del 2023, poi sono stati registrati anche diffusi superamenti della «soglia di informazione» (180 µg/m³ per la media oraria), quella che impone di avvisare la popolazione. Per tutelarla.