Ormai marciano uniti, tanto che il deputato Pd Manfredi sfotte: «Il prossimo capogruppo del Movimento 5 Stelle sarà Brunetta». Ieri sera è stato il pasdaran berlusconiano a tentare una manovra per bloccare la camera dei deputati, eccezionalmente in piena attività al sabato. All’ordine del giorno il tormentato disegno di legge del ministro Del Rio che ridimensiona – senza cancellarle – le province. Provvedimento da approvare in fretta, siamo solo alla prima lettura e nella prossima primavera in teoria andrebbero rinnovati una settantina di consigli provinciali. Solo in teoria, perché nella legge di stabilità è stata inserita una norma che congela il diritto di voto dei cittadini, sostituendolo con la nomina governativa di un commissario.

Troppo per Forza Italia, troppo poco per i grillini che si uniscono comunque nella lotta e verso sera chiedono conto di una conferenza dei capigruppo che la presidente Boldrini aveva convocato per le 18. Interrompere i lavori avrebbe però significato far slittare ancora l’approvazione del ddl Del Rio; la maggioranza ha provato allora ad andare avanti. Brunetta ha ordinato la ritirata, seguito rapido dai 5 Stelle. Non dai deputati di Sel, anche loro all’opposizione, e così non è riuscita la manovra forzista che puntava a far mancare il numero legale. Ma la tensione in aula è salita oltre misura, e alla fine la conferenza dei capigruppo è stata convocata. Niente più di un contentino per le minoranze: si è deciso di allungare ulteriormente i lavori d’aula fino a mezzanotte e forse oltre. Per approvare il disegno di legge sulle province (con voto finale «fuori orario» per il manifesto) e riconvocare l’aula stamattina con un altra gatta da pelare: il decreto «salva Roma», quello con dentro le norme pro slot machine.

Seduta faticosa a Montecitorio, cominciata nel giorno pre festivo alle 9 per un’informativa del ministro Alfano su quanto avvenuto nel centro di accoglienza di Lampedusa e proseguita con l’approvazione del bilancio dello stato. Segnali di sbandamento nel governo. Il provvedimento sulle province è ad alto tasso di demagogia, tanto che la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme: alla fine i costi potrebbero addirittura salire. Le province sono infatti nominate in Costituzione e per cancellarle davvero – ammesso che sia giusto – ci sarebbe bisogno di una legge costituzionale. Il ministro Del Rio, invece, propone di trasformarle in un’assemblea dei sindaci e nel frattempo demanda al governo la facoltà di scegliere commissari in sostituzione degli eletti. Così la legge, oltre che poco efficace, rischia anche di essere incostituzionale. Nello stesso provvedimento, poi, l’esecutivo ha finito col prevedere ben 15 città metropolitane – in partenza dovevano essere nove.

Nel frattempo Forza Italia attacca ancora il capo dello stato a proposito della legge elettorale, e lo fa a partire da un articolo di Repubblica dove si riferisce di una raccomandazione di Napolitano alla responsabile riforme del Pd, la renziana Boschi. Il presidente avrebbe frenato la tentazione del neo segretario del Pd di rivolgersi direttamente a Forza Italia e a Sel (se non ai 5 stelle) per cercare un’intesa sul Mattarellum corretto: una mossa che metterebbe in crisi il governo. Il berlusconiano Bondi attacca: «Non voglio credere che Napolitano intervenga nel dibattito tra le forze politiche per assecondare le richieste di Alfano». Il Quirinale replica con una nota dell’ufficio stampa in cui si ricorda che quello che il presidente pensa sulla legge elettorale lo ha detto pubblicamente il 16 novembre. Ed è precisamente che le intese per cambiare il Porcellum vanno cercate a partire dalla maggioranza di governo, per rivolgersi solo dopo anche agli altri partiti.