È a colpi di cemento che va avanti la ricostruzione dei territori demoliti dal terremoto del 2016, sull’Appennino tra le Marche, il Lazio, l’Umbria e l’Abruzzo. La nuova vittima si trova a 1.600 metri di altitudine, ad Accumoli, in provincia di Rieti: i pantani, con i loro laghetti glaciali e i cavalli e i tori che vivono allo stato brado.

È qui che, in base a un accordo stipulato dalla Regione Lazio e dal Comune di Accumoli, sorgerà un albergo. Per l’esattezza nel progetto arrivato al consiglio comunale del paesino laziale ad aprile si parla di «rifugio montano», ma la realtà è ben diversa. Si tratta, infatti, di una costruzione di tre piani da 180 metri quadri ciascuno, con un totale di diciotto stanze, cinque bagni, una sala da pranzo, uno spazio dedicato all’immancabile vendita dei prodotti tipici e, per salvare le apparenze, un locale privo di servizi che sulla piantina viene definito «rifugio». Una sorta di matrioska dal valore di 850mila euro, con il Comune di Accumoli che adesso si trova a dover risolvere anche qualche grattacapo urbanistico non da poco.

I pantani, infatti, oltre ad essere un Sic (Sito di importanza comunitaria) con relativi vincoli di carattere ambientale e paesaggistico, sono anche un’area agricola. Il municipio dovrà cambiare destinazione d’uso, trasformando il tutto in un zona di servizi pubblici, con esproprio di terreni da almeno venti proprietari diversi. Un’impresa non semplicissima, e infatti sono già tanti i cittadini che hanno deciso di procurarsi un avvocato per difendere le proprie terre: battaglie del genere possono durare potenzialmente anche decenni.

Il percorso però ormai è tracciato, e non solo a livello burocratico. Quattrocento metri di asfalto sono già stati posati per creare una strada utile ad arrivare più agevolmente all’hotel: questa spianata ha di fatto cancellato un tratto del cosiddetto «sentiero Italia», tracciato piuttosto noto tra i camminatori e gli escursionisti dell’Appennino.

Sabato scorso, dietro a uno striscione con l’eloquente scritta «Giù le mani dai pantani», in centinaia hanno raggiunto i laghetti, là dove si vorrebbe costruire il maxi-rifugio.

Ad aderire alla manifestazione sono state decine di sigle: dal Club Alpino Italiano alla Legambiente, dal Wwf ai collettivi Terre in Moto e Caciara, fino alle Brigate di Soldiarietà Attiva e vari gruppi di appassionati di montagna.

«Tutti insieme stiamo procedendo per costruire un’opposizione legale più forte possibile – dicono dal collettivo Emidio di Treviri -, per utilizzare carte bollate e ricorsi contro l’ipotesi hotel. Allo stesso tempo in molti sono all’opera per disegnare una controproposta solida affinché quelle risorse pubbliche vengano spese a favore delle comunità accumolesi invece che per distruggere un patrimonio socio-ambientale».

Il rischio, oltretutto, è che il progetto si riveli un flop: sono diversi gli esempi di rifugi che giacciono inutilizzati da ben prima del sisma.

«Già esiste un rifugio, prossimo a Forca Canapine, ovvero a poco meno di un’ora di cammino dai pantani, ed è abbandonato – spiegano quelli del Cai –. Potrebbe essere rimesso in funzione senza necessità di costruirne un altro. Il fallimento della scelta di realizzare un rifugio avulso da qualsiasi contesto, come sarebbe quello dei pantani, è già stato sperimentato in passato dal Comune di Accumoli, che ne aveva costruito uno in località Poggio d’Api: mai utilizzato perché nessuno ha ritenuto economicamente praticabile la sua gestione».

Alla zona dei pantani si arriva per sentieri attraverso i boschi dal versante marchigiano e soltanto con il trattore da quello laziale. Sin qui, la gestione è stata portata avanti attraverso il diritto all’uso civico, ovvero una gestione collettiva dei beni da parte della comunità di Accumoli: si tratta, a conti fatti, di una delle ultime difese reali per i sistemi ecologici complessi.

Con la costruzione dell’albergo, tutto questo finirebbe nel nome del rilancio turistico delle zone terremotate. Un’idea che affascina ogni amministrazione ma che sin qui è sempre rimasta un’astrazione da comizio, mentre sono migliaia le persone che non rientrano a casa dalla notte del sisma, il 24 agosto del 2016. Quando la storia di chi vive sull’Appennino si è fermata e non è più ripartita.