La città di Tomsk è una rivelazione: un abitante su quattro è uno studente universitario, 160 su 10.000 sono ricercatori, ben sei sono le università cittadine, piú non so quanti istituti d’eccellenza. Fra questi, l’«Incubatore», in cui operano, come potenziali inventori e futuri imprenditori, quaranta giovani di talento accuratamente selezionati dopo la laurea (per ottenere la quale occorre, a ogni buon conto, sborsare molte migliaia di euro l’anno, tantissimi soldi se si tiene conto che un minatore guadagna 500 euro al mese). Il luogo dove vediamo alcune di queste invenzioni ha un nome: «Gli angeli del business».

Tutta Tomsk è protesa verso il futuro: è infatti dal 2006, e in virtú di un’iniziativa di Putin, «zona economica speciale», dotata di spazi e facilitazioni particolari per attirare il top dell’elettronica e ogni altra cosa abbia a che vedere con l’high tech.

Si vede che la zona è propizia al genio imprenditoriale. Proprio qui ha avuto il suo quartier generale – la sede della sua gloriosa società petrolifera Yukos, la piú grande della Russia, che ne aveva fatto l’uomo piú ricco del paese – un giovanotto certamente ingegnoso, Michail Khodorkovskij. Parlo al passato, perché oggi è da piú di sette anni in prigione nella colonia penale numero 10, la fortezza di Cita, nell’estremo lembo della Siberia orientale, dove già Nicola I imprigionava i suoi avversari piú pericolosi. Il 31 gennaio 2010, Khodorkovskij, chiuso in una cabina di vetro sigillata, ha ascoltato la sentenza con cui il PM Danilkin (nominato, secondo una nuova legge, dallo stesso Primo Ministro) lo ha condannato a ulteriori sei anni di reclusione.

Della prigione di Cita ho visto l’immagine in un documentario proiettato all’ultimo Festival del Cinema di Berlino: una rocca sinistra affogata nella neve nove mesi all’anno, fuori da ogni possibilità di comunicazione.

Khodorkovskij non era uno degli «oligarchi» arricchitisi grazie a una posizione dirigenziale nella vecchia Urss, perché troppo giovane al momento della transizione; né uno di quelli di cui leggiamo nelle cronache mondane perché ormai residenti a Londra o a Parigi, proprietari di importanti squadre di calcio, di yacht dotati persino di sommergibili, o noti per aver sposato modelle famose. Da quando sono arrivata in questa regione, ho sentito citare il suo nome con cauto rispetto da molti che lo considerano un imprenditore illuminato, che qui ha costruito case, scuole e ospedali, cercando di fare di Tomsk una sorta di Ivrea.

Intendiamoci, non un santarellino, anzi, uno dei quattro giovanissimi dirigenti del Komsomol (gli altri sono Berezovskij, Gusinskij e Smolenskij) che nel 1986, appena ventenni, quando la perestrojka cominciò a liberalizzare aprendo la strada alle iniziative dette neformal’nye, iniziarono a creare club destinati ai giovani, rock band e improbabili «centri giovanili di innovazione scientifica» per conto della loro organizzazione. Una sorta di underground generazionale di cui alcuni di loro seppero rapidamente approfittare, attraverso un percorso avventuroso e grazie all’appartenenza a un giro politico di rilievo.

I passaggi che da qui hanno portato Khodorkovskij e i suoi amici a diventare ricchissimi, non solo i piú ricchi della Russia, sono infiniti, ma la sostanza è una: avevano capito che l’idea di fare denaro producendo cose era una pratica obsoleta ed era assai piú rapido e sicuro usare il denaro per fare denaro. E che la privatizzazione piú interessante non era tanto quella delle fabbriche, ma quella del denaro stesso. Per aver allevato i primi capitani del moderno capitale finanziario, il Komsomol è stato chiamato la «Moscow business school». Erano cinici ma anche spiritosi, i kids, come venivano chiamati: all’inizio rozzi, non sapevano vestirsi e non conoscevano nemmeno l’inglese, ma capirono presto come girava il mondo e per prima cosa pubblicarono un libro di successo intitolato, parodiando L’uomo con il fucile, una celebre commedia su Lenin, L’uomo con un rublo.

La storia sarebbe lunga da raccontare, ma basta l’epilogo: diventato ricchissimo, Khodorkovskij, a quarant’anni, comincia a nutrire ulteriori ambizioni, vuole sfidare il gruppo dei siloviki, gli uomini provenienti dai servizi di sicurezza che con Putin hanno spodestato gli imprenditori rampanti dell’era di Eltsin e ora, tagliati fuori dalla spartizione del primo grisbi, bramano la loro parte. In un modo o nell’altro, già due della banda dei quattro kids erano stati messi fuori gioco perché accusati di questo o di quello. Ma sia Berezovskij che Gusinskij, accortamente, sono rimasti alla larga dalla Russia e hanno ottenuto asilo politico in Inghilterra e in America; il secondo è ormai proprietario di mezza stampa israeliana.

Khodorkovskij decide invece di sfidare Putin e, vivamente sconsigliato dagli amici, dopo aver ricevuto un’ingiunzione, decide di tornare spavaldamente in patria dichiarando: «La Russia è il mio paese, vado». Ma il 25 ottobre 2003, mentre il suo aereo privato aveva ancora i motori accesi all’atterraggio a Novosibirsk, gli agenti erano già entrati nella cabina e gli avevano messo le manette ai polsi, accusandolo di frode ed evasione fiscale.

Eroe o profittatore? I pareri su Khodorkovskij sono divisi. Ma la stessa sinistra ammette che il magnate arricchitosi illecitamente aveva almeno avuto la lucidità per capire che la disuguaglianza stava raggiungendo nel paese dimensioni tali da minacciare quel minimo di coesione che è indispensabile per tenere assieme una società. Consapevole del furto perpetrato, aveva persino proposto una compensazione per le proprietà statali indebitamente acquisite nel caos del 1993, quando si procedette alle massicce privatizzazioni. Putin ha preferito all’indennizzo la possibilità di ricattare la categoria.

A Tomsk, veniamo a sapere molto di piú su Khodorkovskij dalla visita a TV2, un’emittente un po’ speciale: all’inizio degli anni ’90 è stata la prima tv indipendente, la sola che poté trasmettere le notizie del tentato golpe militare all’epoca di Eltsin – ed è rimasta indipendente anche adesso, sebbene i media russi siano stati nel frattempo largamente «normalizzati» dal governo. (Era stato proprio Gusinskij a creare l’impero dei media indipendenti, poi tutti chiusi).

«All’inizio avevamo solo due registratori e una macchina da presa,» racconta il direttore-proprietario, ricevendoci nella bella palazzina che ospita l’emittente (già all’ingresso, ritratti di Khodorkovskij appesi alla parete), «e abbiamo fatto fortuna trasmettendo film americani scaricati illegalmente che ci hanno permesso di ottenere l’audience piú ampia della storia». Anche adesso che sono un’emittente all news, il numero dei telespettatori di TV2 è relativamente alto, sebbene le loro capacità di trasmis–sione siano ridotte: il segnale non riesce ad andare oltre i cento chilometri. Ragioni tecniche e finanziarie, ma non solo. Per questo, la stessa sopravvivenza dell’emittente – pur premiata una ventina di volte per il livello dei suoi programmi – è sempre minacciata. Fin qui è riuscita a sopravvivere grazie alla pubblicità che le affidano le piccole imprese della zona. Proprio Khodorkovskij è stato fra i soci fondatori, e anzi era suo il pacchetto di con–trollo della società. Poi è successo quel che ho raccontato.

Quanto alla Yukos, accusata di bancarotta, gli è stata confiscata ed è stata divisa in due nuove società: una è confluita nella statale Rosneft, l’altra è privata, ma non si sa bene a chi appartenga. Per mettere tutto a tacere sulla legittimità dell’operazione, la nuova azienda ha stipulato un importantissimo accordo con l’americana Exxon, e dunque pochi hanno ormai interesse a indagare.

Ce la farà Khodorkovskij a uscire dal carcere? Il direttore di TV2 ed ex socio (e amico) scuote la testa dubbioso. Per ora – ci informa – si diffondono le sue lettere aperte a Putin, che escono dalla prigione tramite il suo avvocato. «Sono,» aggiunge, «i nuovi samizdat della Russia». (…)

(* brano tratto, con l’autorizzazione dell’autrice, dal libro-reportage di Luciana Castellina ,«Siberiana», Nottetempo editore 2012)