Gli atenei di Pisa e del Salento disobbediscono alla meritocrazia. Nel primo caso il 27% dei docenti ha tenuto duro e non ha caricato i “prodotti della ricerca” nel software usato per la “valutazione della qualità della ricerca” (Vqr). Nel caso dell’ateneo di Lecce i numeri sono ancora più elevati: il 30%.

Non è una fotografia dettagliata della prima protesta contro la valutazione della ricerca (Vqr) e il blocco degli stipendi dei docenti, ma dai dati diffusi dall’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca universitaria (Anvur) emerge una realtà interessante. Nonostante le minacce ventilate, il timore di danneggiare il proprio dipartimento nella distribuzione delle risorse realizzata in base alla valutazione del triennio accademico 2011-2014, i caricamenti forzosi dei “prodotti della ricerca”, sono diversi gli atenei – anche di peso – dove la protesta si è mantenuta al di sopra della soglia psicologica del 10 per cento: Napoli Parthenope (73,7%),Reggio Calabria (82,7%), Catania (85,8%), L’Aquila (86,3%), Urbino, Roma Sapienza (86,4%), Brescia (87,1%), Basilicata (87,8%), Pavia (87,9%), Roma Tre (88%), Sannio (89,1%), Genova (89,1%), Siena (89,4%), Cagliari (89,9%), Salerno (90,3%), Messina (90,5%). Poco sotto Milano Bocconi (91%).

Il 4 marzo scorso uno dei promotori della protesta, il docente torinese Carlo Ferraro, aveva calcolato in 3320 i docenti coinvolti nello sciopero contro la VqR. Si trattava di una stima prudenziale da moltiplicare per 1,5 o per 2, dato che non tutti gli atenei né il ministero dell’università hanno comunicato dati aggiornati e globali. Dopo i dati dell’Anvur, dove si afferma la media nazionale dell’8 per cento (e il 92% delle adesioni sui quasi 50 mila docenti e ricercatori interessati), è probabile che i numeri siano inferiori. L’ultima settimana è stata dura e ha messo in fibrillazione il sistema. Senza le pressioni intervenute è probabile che l’adesione si sarebbe attestata tra il 10 e il 20 per cento a livello nazionale.

Il caso Pisa


Il caso dell’ateneo di Pisa è clamoroso. L’alta percentuale della protesta è la prova di un dibattito intenso: dagli aspiranti rettori ai dottorandi di ricerca. Nei dipartimenti ci sono state anche adesioni all’80 per cento. I quattro aspiranti rettori hanno sostenuto la protesta: Donato Acquaro, Giuseppe Iannaccone, Paolo Mancarella e Marco Tulli. “La VQR e più in generale tutto il processo di valutazione della ricerca e della didattica messo in campo dall’ANVUR a dover essere ripensati e reimpostati – ha scritto ad esempio Mancarella -Nessuno vuole sottrarsi alla valutazione. Ma, visto che la valutazione della ricerca ha comunque ampi margini di approssimazione, che almeno sia basata su criteri semplici e trasparenti! Tutt’altro che semplici sono, invece, quelli proposti dall’ANVUR, peraltro soggetti a una continua revisione, con l’effetto di disorientare il ricercatore sul tipo di prodotti da privilegiare. A questo si sommano la farraginosità del sistema per la scelta dei prodotti, i numerosi e francamente ingiustificabili malfunzionamenti dello stesso e il ritardo nella pubblicazione delle tabelle bibliometriche».

Una delle più prestigiose università italiane è in fondo alla classifica dell’Anvur. Non per demeriti scientifici, ma per una presa di posizione a favore della dignità professionale e una critica al sistema della valutazione che distribuisce i tagli alle università al Sud e riserva quote decrescenti di fondi a pochi atenei di “eccellenza”. Un pericolo denunciato dai dottorandi di ricerca che hanno solidarizzato con i docenti in sciopero: “Salutiamo con favore la protesta di chi si rifiuta di caricare i prodotti della ricerca – ha scritto l’Associazione dei dottorandi di Pisa – Perché consente finalmente di alzare il velo sopra la vera natura del sistema di valutazione e consente a tutto il paese di vedere in quale drammatico stato si trovi il sistema universitario”. Per l’ateneo pisano ora c’è il rischio di ricevere meno fondi e quindi meno assunzioni e dottorati di ricerca. Questa eventualità era stata usata come deterrente contro la protesta. Ora il caso è aperto.

La posizione dell’Anvur

Il ministero dell’università e della ricerca e l’Anvur tengono a dimostrare che la protesta dei docenti è fallita. La percentuale bulgara del 92 per cento a livello nazionale lo dimostra.

“Viste le statistiche relative al conferimento dei prodotti alla VQR 2011-2014, l’ANVUR si complimenta con la comunità accademica italiana – si legge in un comunicato – L’adesione delle università all’esercizio di valutazione permetterà all’Agenzia di procedere con l’esercizio di valutazione e di generare nei tempi dovuti la seconda istantanea dello stato della ricerca italiana. L’università italiana ha così dimostrato di aver compreso pienamente il valore di un esercizio di valutazione che sta coinvolgendo oltre 400 illustri colleghi italiani e stranieri nelle attività degli esperti GEV e quasi 11.000 (a oggi) ricercatori italiani e stranieri che hanno già accettato di svolgere l’attività di revisori peer”.

E tuttavia, considerato il caso di Pisa, la procedura può risultare falsata. Che valore può avere una classifica con Pisa che precipita in fondo per la tenacia dei docenti che si sono sottratti alla valutazione e hanno affermato la rivendicazione sindacale sugli stipendi? I prodotti mancanti peseranno molto sulla procedura di valutazione di un dipartimento con il dieci per cento di astenuti, contro una media nazionale del sette. Alla fine sarà penalizzato non perché scientificamente valga di meno, ma per la maggiore percentuale di astensione.

“La disomogeneità territoriale della protesta rende inservibile la valutazione” affermano i sostenitori della protesta “StopVqr” del magazine online Roars. In un comunicato caustico sostengono, inoltre, “che se il ministero dell’università utilizzerà questa VQR si troverà a distribuire la quota premiale in funzione della non adesione alla protesta, in larga misura correlata alla capacità di coercizione messa localmente in atto dai rettori. Alla luce di questi dati è possibile dire che la VQR è morta”.

Un’idea dell’università


Nello stesso giorno della pubblicazione dei dati Anvur un Gruppo di coordinamento sulle “3 missioni” dell’università (Insegnamento, Ricerca, Democrazia delle opportunità), promosso da alcuni docenti di Tor Vergata, ha rilanciato una petizione in cui si chiedono le dimissioni dei componenti dei Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV), cioè i gruppi di esperti responsabili della valutazione dei prodotti della ricerca inviate da ciascun ricercatore.

“La nostra non è una protesta contro la valutazione in quanto tale, ma contro “questa” valutazione, perché è una delle cause principali della riconfigurazione in atto delle missioni dell’università, che si cerca di nascondere dentro il cavallo di Troia della neutralità e oggettività di algoritmi incomprensibili. Un coordinamento sorto nella speranza che iniziative analoghe possano nascere in altre università italiane e che si arrivi a “fare rete”. StopVQR non è l’impegno di una stagione. È un’idea di università”.

Dossier: #Salviamolaricerca