Domenico Pantaleo, segretario generale Flc-Cgil, spiega perché la riforma Renzi della scuola provocherà un esodo dei docenti da Sud al Nord e non viceversa. «Il governo non ha stabilito una rispondenza tra iscritti alle graduatorie ad esaurimento (Gae), le domande presentate per le assunzioni e i posti disponibili. Ci sarà anche il paradosso dei docenti obbligati a migrare tra le regioni del Sud. Si è innestato un meccanismo perverso che non tiene conto di una reale programmazione e colpisce soprattutto le donne con figli a carico, stipendi da 1300 euro con cui pagare doppi affitti. Il governo non ha cognizione della situazione sociale delle persone, e non solo della scuola. Mette in discussione i loro modelli di vita per soddisfare l’impostazione ideologica dei soliti noti: Confindustria e Treelle, i veri promotori di una riforma che divide le scuole in serie A e B e innesta la competizione tra docenti e precari».

Che ruolo hanno avuto i tagli Gelmini alle cattedre?

Quei tagli sono stati uno dei fattori. C’è poi il meccanismo con cui sono stati fatti gli organici che tiene conto essenzialmente del numero degli alunni. A Sud è stata registrata una riduzione demografica, mentre al Nord c’è stato un aumento legato all’emigrazione. Poi ci sono state le riduzioni di organici, soprattutto al Sud. A questo si aggiunga una disoccupazione storicamente alta, che spiega anche il maggior numero dei precari al Sud. Mentre lo Svimez chiede di potenziare l’offerta formativa, e il capitale umano, proprio per invertire questa tendenza nel Mezzogiorno, Renzi fa l’opposto.

Che cosa faranno gli oltre 55 mila insegnanti una volta assunti nel cosiddetto organico potenziato?

È certo che questo meccanismo non partirà da settembre, ma dopo i piani dell’offerta formativa dei dirigenti. In generale non si capisce che cos’è, né come funzionerà. Nello stesso governo esistono idee opposte. L’idea di «potenziare» la formazione si è già persa all’inizio. È probabile che sarà usato per tamponare i problemi di organico o per recuperare i costi delle supplenze. Una programmazione vera avrebbe potuto usarlo nella lotta contro la dispersione scolastica al Sud e nelle aree a rischio nelle città italiane. Non avverrà.

Sembra che il piano di assunzioni in corso non coprirà 15 mila posti liberi. Che fine faranno?

Non lo sappiamo, al momento. La legge dice che non saranno coperti. È una situazione che conferma l’impianto sbagliato e un piano di immissioni in ruolo molto improvvisato. Anche per questo avevamo proposto di unificare le fasi B e C delle assunzioni in una programmazione che permettesse di tenere conto della composizione delle graduatorie. Il Miur ha rifiutato. Ma lo avevano chiesto anche alcune regioni. Siamo solo all’inizio. Il caos arriverà con la chiamata diretta dei presidi nel 2016. C’è il rischio di creare meccanismi clientelari.

Che cosa accadrà ai docenti che non hanno fatto domanda e resteranno nelle graduatorie?

Chiediamo di garantirgli il 50% dei posti nel prossimo concorso. Queste persone non vanno criminalizzate, come fa chi li accusa di non volere lavorare. Contrasteremo con tutti i mezzi questa disinformazione ideologica. Pensare poi di escluderli dalle stabilizzazioni è illegittimo e assurdo. Bisogna tenere conto anche degli abilitati Tfa e Pas e gli altri aventi diritto. Tra un mese la Corte costituzionale recepirà la sentenza europea sul precariato. Dovranno essere stabilizzati tutti, anche considerando che il turn-over sarà molto più alto dal 2016. Non voglio dimenticare il bubbone del personale Ata. La funzione pubblica ha bloccato la loro immissione in ruolo per dare spazio al personale delle province. In sei mila rischiano il posto. Questo quadro dimostra che il governo non investe nella scuola e non tiene conto dei suoi veri problemi.

Presenterete con gli altri sindacati il ricorso contro la riforma alla Corte Costituzionale?

Certo. Contrasteremo la chiamata diretta dei presidi, i 200 milioni sottratti al salario accessorio dei docenti ed elargiti arbitrariamente al «merito». E metteremo in discussione le immissioni in ruolo: escludono i docenti interessati dalla sentenza europea.

Civati e un gruppo napoletano hanno presentato due referendum abrogativi. Voi cosa farete?

Il referendum è una strada, ma a certe condizioni. Non va fatto con una logica autoreferenziale, ma va creata un’ampia campagna che coinvolga tutti i soggetti che contrastano le politiche di Renzi, dalla scuola al Jobs Act allo Sblocca Italia. Bisogna collegarlo a iniziative capaci di allargare il consenso e fare attenzione ai quesiti e ai tempi. Noi inizieremo con un’assemblea a Roma delle Rsu l’11 settembre. Il tempo per farne uno sulla scuola il prossima anno non c’è.