I dirigenti di Syriza hanno giustamente definito il risultato delle elezioni europee «una vittoria storica della sinistra». Per la prima volta nella storia recente della Grecia la sinistra radicale è primo partito.
Una grande vittoria elettorale. Ma una mezza vittoria politica. Contrariamente alle aspettative, Syriza non ha aumentato i suoi voti, confermando il 27% ottenuto alle elezioni nazionali del 2012. Il suo primato è dovuto al meritato crollo dei partiti di governo, Nuova Democrazia di Samaras (- 7%) e Pasok di Venizelos (-4%).

Dopo quattro anni di durissime sofferenze, miseria, depressione, saccheggi, malversazioni, cinici inganni e repressione poliziesca, è comprensibile che gli elettori puniscano un premier scandaloso come Samaras e il suo maldestro maggiordomo Venizelos. Ma è molto meno comprensibile che l’elettorato non si rivolga in massa verso l’unica alternativa alla catastrofe attuale. Questo è un problema per la Grecia, forse anche per l’Europa, ma soprattutto per Syriza. C’è qualcosa che non va.

Nel periodo preelettorale, è stato combinato un pasticcio sulle candidature per le amministrative con lo scontro tra alcuni esponenti storici di Syriza, quando il partito a stento arrivava al 4%, e i nuovi arrivati, i profughi politici ed elettorali della crisi, provenienti da mille altre esperienze politiche, soprattutto però dalla grande diaspora socialista. Spesso i nuovi arrivati sono stati visti con sospetto e ostilità dai custodi della purezza ideologica.

Alexis Tsipras ha il grandissimo merito di aver compreso fin dal primo momento il problema della trasformazione di Syriza da gruppo di protestatari massimalisti in grande partito popolare e nazionale, che difende i tanti, i loro diritti, la loro dignità ma anche l’identità e l’orgoglio di essere greci. Il giovane leader ha fatto in fretta moltissima strada e altrettanta sicuramente ne farà. Al suo fianco un gruppo dirigente politicamente capace, oggi ampiamente rappresentato dagli eletti a Strasburgo e a capo delle Regioni e dei Comuni. Ma una parte del partito è rimasta indietro o perché in balìa di certezze ideologiche oppure per mere ragioni di potere. Tanto che qualche osservatore si è chiesto se tutto Syriza è concorde nel voler governare.

Il problema è grave anche per un’altra ragione. Per amore o per forza Syriza vuole governi di coalizione: l’ultimo congresso parlava di “governo di sinistra”. Ma dove sta il resto della sinistra greca? I comunisti del KKE durante la campagna elettorale hanno bombardato unilateralmente Syriza. Quanto all’arcipelago di centrosinistra, è stato un miracolo che non si sia estinto ma rimane ahinoi guidato dai signori dello spread e delle Tv private. Tanto che sia il Pasok che la new entry “To Potami” (“Il Fiume”, il partito life style del presentatore Tv Stavros Theodorakis), hanno seri problemi di identità. Per influire su queste aree e creare una dinamica più favorevole alle forze antiausterità bisogna dare segni di realismo, responsabilità e fermezza nel difendere gli interessi del popolo e del paese.

Tutte queste cose normalmente si ottengono nel corso di qualche decennio. Tanto ci è voluto perché un’altra sinistra, quella di Andreas Papandreou, guidasse un altro Pasok, dal 13% delle prime elezioni dopo i colonnelli (1974) a essere primo partito di opposizione (1977) fino al primo governo socialista (1981). Ma ora non c’è tempo. A giugno Samaras svenderà ai suoi amici un centinaio tra le spiagge più belle della Grecia, poi privatizzerà l’acqua e l’energia elettrica, mentre la gente si butta dai ponti, i bambini svengono per fame e le famiglie fanno la fila alle mense dei poveri. Solo Syriza può fermare a tutto questo ma deve diventare il grande partito del popolo greco.