Quello che conta è il servizio per i rifugiati, non il pagamento dei lavoratori. E’ la contraddizione lancinante in cui vivono gli operatori della cooperativa «Il Sorriso» di Roma, resa nota dagli attacchi ai rifugiati ospitati in una sua struttura a Tor Sapienza nel dicembre 2014, mentre i vecchi vertici sono stati coinvolti nelle indagini di Mafia Capitale. Impegnati in alcuni progetti di accoglienza per migranti e rifugiati, da mesi molti di questi lavoratori non ricevono lo stipendio. Il ritardo oscilla da due a sette mesi per una paga bassa, ormai standard nel lavoro a progetto e precario in Italia: in media 7-800 euro netti al mese. La loro mobilitazione, sostenuta dalle camere del lavoro autonomo e precario di Roma (Clap), ha ottenuto dall’ex assessore al sociale Francesca Danese l’impegno di verificare le condizioni dei lavorati impegnati nel servizio Sprar e in un progetto definito «Casa delle mamme».

Ieri i lavoratori e le Clap si sono presentati negli uffici dell’Osservatorio sul mercato del lavoro del comune di Roma e hanno organizzato un sit-in dove hanno distribuito un volantino che racconta, più di ogni altra cosa, il lavoro nel sociale e non solo: «Non siamo volontari! Il lavoro dev’essere retribuito». Alla vigilia dell’apertura sul processo al sistema «Buzzi-Carminati», la cosiddetta «Mafia Capitale» che ha lucrato anche sul «business dell’accoglienza», hanno scoperto che all’Osservatorio non è mai arrivata la richiesta di verifica promessa dall’assessore. Nel frattempo alcune mensilità sono state recuperate, ma non per tutti e non per tutte quelle arretrate. Dopo avere garantito la necessaria continuità del servizio di accoglienza, molti lavoratori si sono dimessi, o non hanno avuto il rinnovo del magro ma impegnativo contratto. La situazione si è fatta insostenibile, anche perché è emersa una regola.

In un incontro avvenuto il 26 ottobre scorso, a una delegazione ha appreso dagli uffici competenti che non c’è la relazione tra il pagamento della cooperativa, l’erogazione dello stipendio ai lavoratori e la verifica delle condizioni in cui operano. Una volta accertata la regolarità del certificato anti-mafia Durc, e liquidate le spettanze, è stato detto che all’amministrazioni non spetta la responsabilità di accertare i pagamenti. Per i lavoratori e le Clap dovrebbe essere invece responsabilità del Comune controllare il rispetto del diritto più elementare: la retribuzione. Le difficoltà non finiscono qui. Per un altro progetto, «Astra», che vede capofila il comune di Roma, i fondi sono stati bloccati perché il ministero dell’Interno ha revocato il progetto dopo avere pagato il primo acconto.

Nel caos prodotto da «Mafia capitale», le vite di giovani psicologi, educatori, assistenti, insegnanti restano sospese. Competenze necessarie per un compito delicatissimo, quello di mediare tra le esigenze basilari dei migranti e la società di arrivo, si trovano imprigionate nel sistema dei subappalti dei servizi sociali, soggette a condizioni di lavoro proibitive. I lavoratori otterranno due tavoli di trattativa: uno per il servizio «case delle mamme», affidato a un’altra cooperativa, sulla quale c’è una trattativa con i sindacati che vedrà la partecipazione anche delle Clap, e un altro ex novo con il dipartimento delle politiche sociali e la loro cooperativa.

 

*** L’inchiesta: L’altra faccia di Mafia Capitale***

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