Ian Taylor, nel 1971, sostenne che i comportamenti violenti delle tifoserie inglesi non andavano attribuiti all’inciviltà o al primitivismo. Si trattava, piuttosto, di una ribellione identitaria di classe. Il calcio si connotava come sport della classe operaia. Le invasioni di campo, secondo Taylor, esprimevano il tentativo disperato di ristabilire la matrice operaia contro l’incalzante trasformazione del calcio in business.

Dieci anni dopo, la lady di ferro smantellò le fabbriche, represse le proteste, varò legislazioni antisindacali. Le tifoserie delle squadre appartenenti alle aree urbane oggetto della massiccia ristrutturazione industriale provocarono gli episodi più eclatanti di teppismo da stadio, culminati nella tragedia dell’Heysel. Da qui in poi, gli stadi vennero trasformati in piccole Disneyland, le famiglie sostituirono il pubblico tradizionale, i biglietti raggiunsero prezzi esorbitanti, il vecchio pubblico venne espulso dagli spalti. A favore del calcio-business circolano vari argomenti. Le società hanno i bilanci in ordine, il pubblico aumenta, non vi sono incidenti. Peccato che il vecchio pubblico assista alle partite nei pub, in prossimità dei quali, oggi, si verificano gli scontri che una volta avvenivano nei pressi degli stadi, secondo una vera e propria delocalizzazione della devianza. Gli scontri vengono derubricati come risse da pub, merce tradizionale dell’Inghilterra del weekend, e il problema viene rimosso.

Gli episodi di sabato fanno pensare che in Italia stia prendendo piede un processo simile a quello inglese. In un paese in crisi d’identità, in declino economico verticale, stordito da trent’anni di berlusconismo, lo stadio è rimasto l’unico luogo dove si aggregano regolarmente masse consistenti di persone, e dove vengono elaborati e veicolati significati collettivi, ancorché discutibili e contraddittori. Questa situazione, non soltanto ostacola i progetti di ristrutturazione del calcio come business, ma, soprattutto, frantuma la coltre di ottimismo posticcio che viene giornalmente somministrata, facendo affiorare il malessere e l’inquietudine di un’intera società. Ecco che allora gli ultrà vengono trasformati nel male supremo della società italiana, nell’avamposto dell’inciviltà che non ha a che fare con le regole di convivenza civile, della correttezza e della lealtà che permeerebbero l’Italia odierna.

Passati di moda i migranti, si creano i meccanismi di amplificazione della devianza nei confronti degli ultrà. In altre parole, quando un gruppo sociale viene etichettato come criminogeno, a livello sociale e politico vengono intraprese una serie di condotte atte a marginalizzarlo, che vanno dalle misure repressive alla stigmatizzazione dell’opinione pubblica. Dal varo dei Daspo alla tessera del tifoso, sino a misure vessatorie quali quelle di richiudere i tifosi ospiti all’interno dello stadio fino ad un’ora dopo la fine della partita, si agisce da anni nella direzione della criminalizzazione degli ultrà davanti all’opinione pubblica. Ormai gli incontri di calcio vengono percepiti come eventi gravidi di tensione sociale, nocivi per l’ordine pubblico, che richiedono massicce azioni repressive. Allo stesso tempo, aumenta il senso di frustrazione da parte degli ultrà, nonché il loro risentimento nei confronti delle forze dell’ordine e del resto della società, anche a fronte di episodi come i casi Sandri e Bagnaresi. E’ proprio all’interno di questo scenario di allarme permanente, che esclude ogni margine di negoziazione, a creare i presupposti per episodi come quello di sabato, che pure non è ascrivibile agli ultrà, bensì alla scelta di un singolo. Ma ormai il mondo della tifoseria organizzata viene dipinto come la corte dei miracoli della società italiana, dove imperversano la camorra e i traffici illeciti, un capo ultrà che ha precedenti penali già regolati e un padre presunto (?) camorrista viene classificato col suo soprannome, e la libertà di opinione diventa un crimine, non tenendo conto che Speziale si proclama innocente e la sua condanna ha destato più di una perplessità. Ma tant’è. Vogliamo il modello inglese…