Sembra quasi l’emblema di un mondo ormai incapace di risolvere quei conflitti decennali che vedono da un lato poteri troppo forti da mettere in discussione e dall’altro popolazioni da tempo private di ogni diritto. Parliamo del popolo sahrawi, del Fronte Polisario che lo rappresenta, del Marocco che occupa i suoi territori e della Missione delle Nazioni unite nel Sahara occidentale (Minurso), installata nel 1991 col fine di organizzare un referendum che stabilisse una volta per tutte il destino di quella terra e di chi ci abita.

Sono passati oltre ventidue anni da quella decisione e la Minurso, sul cui mandato dovrà decidere entro il prossimo 30 aprile il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, non ha organizzato alcun referendum, limitata nel suo agire dal boicottaggio del Marocco e dall’indifferenza del Palazzo di Vetro. Un miliardo di dollari, questo il suo costo, gettati letteralmente al vento, se consideriamo inoltre che questa è l’unica missione di pace dell’Onu in corso priva del mandato di proteggere i civili. Malgrado queste premesse dovrebbero spingere le Nazioni unite a dare più forza alla propria missione di pace, estendendo per esempio il suo impegno alla tutela dei diritti umani, e superando in questo l’opposizione della Francia che ritiene il Marocco capace di vigilare da solo su questo punto, la recentissima relazione del segretario Ban Ki-moon si caratterizza per la presa d’atto di una situazione drammatica, alla quale non corrisponde però nessuna proposta concreta e nessun passo avanti. Si fa cenno della richiesta di estendere il mandato della missione sul tema citato ma non la si fa propria. Senza dimenticare il disincanto che trapela dalle pagine del rapporto realizzato con il contributo fondamentale del diplomatico americano Christopher Ross. Atteggiamento che ha infastidito sia la maggioranza dei sahrawi che spera ancora in una indipendenza dal Marocco, ma anche coloro che hanno ritenuto opportuno accettare come alternativa una autonomia regionale, preferibile evidentemente a un immobilismo che favorisce solo Rabat e i suoi alleati.

Con queste premesse, la già citata estensione del mandato della Minurso alla tutela dei diritti umani, sulla quale come dicevamo si dovrà esprimere il Consiglio di sicurezza entro il mese, resterà verosimilmente lettera morta. Peccato che le proteste che i sahrawi organizzano a Laayoune, capitale del Sahara Occidentale, e negli altri centri della regione ogni 15 del mese, vengano, come è successo anche pochi giorni fa, puntualmente represse con estrema brutalità e con conseguenze giudiziarie molto gravi nei confronti di chi è perseguitato dalla polizia e dall’esercito marocchino, dimostrando ancora una volta la necessità di vigilare su questo punto.

«Il Marocco non vuole nessuna soluzione – ha denunciato Fatima Mafud, vice-presidente del Fronte polisario in Italia – non vuole organizzare alcun referendum e vuole continuare a tenere 160mila soldati lungo il muro del Sahara Occidentale relegando fuori dai confini i nostri profughi».

Sul fronte della repressione parlano chiaro anche le denunce di Amnesty International e di osservatrici come l’avvocata Francesca Doria più volte testimone oculare di episodi di ritorsione contro chi, tra i sahrawi, si azzardasse a parlare con stranieri recatisi in Marocco per denunciare quello che succede. Lo scorso anno 23 militanti sahrawi sono stati condannati chi all’ergastolo, 9 per l’esattezza, chi a pene variabili tra i 20 e i 30 anni, per gli scontri che si erano verificati l’8 novembre del 2010 quando le forze di sicurezza marocchine smantellarono il campo di protesta di Gdim Izik. Il bilancio fu di 11 membri delle forze di sicurezza e 2 sahrawi uccisi e di centinaia di arresti. Quel campo era stato realizzato per chiedere diritti, lavoro e alloggi adeguati e ospitava 20.000 persone. A questo dobbiamo aggiungere l’impunità per i crimini commessi dalle forze marocchine contro donne, uomini e bambini sahrawi nei decenni passati, quando centinaia di persone scomparirono e i cui resti ogni tanto vengono ritrovati in campagna. Il tutto senza che quegli organismi per i diritti umani dei quali la Francia si fida si muovano per individuare i responsabili.

Vale la pena ricordare che la Repubblica democratica araba Sahrawi è stata fondata nel 1976 e riconosciuta da circa 80 paesi, in maggioranza africani e latino-americani. L’Europa, pur manifestando a parole buone intenzioni, non si è mai spinta a riconoscere la Rasd.