«I golpisti hanno cercato di presentare una falsa primavera venezuelana, ma i loro fiori sono secchi: perché la primavera del popolo venezuelano è cominciata con il governo socialista, ed è stata capace di passare dalla protesta alla proposta». A Miraflores, il presidente Nicolas Maduro risponde ai giornalisti. Il manifesto ha potuto rivolgergli domande dirette.

Sullo schermo, scorre un video delle violenze che, dal 12 febbraio, hanno provocato 28 morti. Si scorge un giornalista della Cnn fraternizzare con gli oltranzisti, e agenti delle polizie locali facilitare le devastazioni. Il presidente illustra i dati del ministro degli Interni Miguel Rodriguez Torres, presente al tavolo insieme a quello degli Esteri, Elias Jaua: «Solo il 36% dei 1.529 fermati (105 dei quali detenuto), risulta essere studente». Su 350 feriti, 250 sono civili, 109 funzionari di polizia o militari. Come hanno precisato a Ginevra – durante il XXV Consiglio per i diritti umani dell’Onu – sia la Procuratrice generale Luisa Ortega Diaz che la Difensora per i diritti umani, Gabriela Ramirez, molti dei feriti o dei morti sono stati raggiunti da colpi di arma da fuoco: «il che dimostra che la natura delle proteste è tutt’altro che pacifica».

A Ginevra, l’Onu ha lodato il Venezuela per aver rispettato i diritti umani, 29 paesi dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) hanno rigettato la proposta di ingerenza negli affari interni di Caracas proposta da Usa e Panama. E i ministri degli Esteri della Unasur invieranno una missione per sostenere le Conferenze per la pace e la vita messe in atto dal governo in tutto il paese. «Se l’opposizione avesse accettato il dialogo fin dall’inizio – dice Maduro – non saremo arrivati a questo punto. Invece sono codardi e lasciano che un gruppo di golpisti fomentati da Washington alzino la tensione nel paese. Destabilizzare il Venezuela, significa però incendiare tutta la regione, perché l’epoca dei golpe è finita. Non è più come ai tempi di Allende, e non siamo soli. Questo popolo è disposto a difendere la rivoluzione con la vita, passerebbe alla resistenza armata».

Le sanzioni pronte negli Usa contro il Venezuela? Maduro ironizza: «Se vogliono bloccarci i visti, facciano, ci sarà meno gente che corre a Miami. Vuol dire che mi toccherà andare a piedi per partecipare alla prossima conferenza sul clima a cui mi ha invitato Ban Ki-moon».

Poi si rivolge a Obama: «Lo stanno spingendo verso l’abisso. Voglia il cielo che il primo presidente nero degli Stati uniti non debba passare alla storia come assassino del Venezuela». Maria Corina Machado, parte dei trio di oltranzisti che ha promosso la campagna per «la salida» (l’uscita) di Maduro dal governo, è stata ricevuta dal presidente del Panama, Ricardo Martinelli, in prima fila contro il Venezuela. Maduro ha interrotto le relazioni politiche e ha congelato il debito contratto dagli imprenditori venezuelani col Panama. Un debito gonfiato «per aiutare gli industriali venezuelani a sfuggire al controllo dei cambi e ottenere più dollari», hanno ammesso personaggi del governo panamense. Chiediamo al presidente quanto pesi questa vicenda sul dialogo in corso tra il suo governo e i grandi imprenditori: «Pagheremo tutto, fino all’ultimo bolivar – risponde Maduro – il Venezuela non ha debiti con nessuno, ma pagheremo il giusto, e senza ingerenze«.

Ma le nuove misure economiche, che vanno incontro alla costante richiesta di dollari degli imprenditori e agevolano l’impresa privata, non saranno scontate dai lavoratori? Non ci sarà un aumento dei prezzi e un cedimento al modello neoliberista? La parte avversa non finirà per zavorrare il socialismo bolivariano? Maduro risponde ancora al manifesto: «Per avere più risorse da distribuire al popolo, abbiamo bisogno di sviluppo industriale, di sovranità alimentare, ma il nostro sistema sociale non corre rischi: se i prezzi salgono, aumenteremo di più i salari e i benefici, come abbiamo sempre fatto. Lo abbiamo previsto. E presto sottoporremo al paese la richiesta di aumentare un poco il prezzo della benzina. Con quel che voi pagate in Italia un litro di benzina, qui riforniamo 6 fuoristrada, si deve pagare un poco».

Chiediamo ancora: la notte delle elezioni presidenziali, il 14 aprile, lei ha detto che il leader sconfitto dell’opposizione, Henrique Capriles, aveva chiamato per proporgli di spartirsi il potere, alla maniera tipica della IV repubblica. Ora che Capriles sembra volersi smarcare dalla via golpista e che una parte della Mesa de la unidad democratica (Mud) avanza proposte per dialogare, quei meccanismi torneranno in gioco? «Con l’opposizione ci sono molti contatti – risponde il presidente – ma il dialogo non è fra strutture, non è fra il Psuv e la Mud. Per questo, se occorre, ci sarà una riunione specifica. Il nostro invito riguarda tutta la società. La democrazia partecipativa e protagonista ha superato i meccanismi di concertazione dall’alto. Oltretutto, la Mud ha un doppio discorso: parla di dialogo e copre i «guarimberos». E chiede a noi di criminalizzare i collettivi territoriali, che sono stati un argine durante la IV repubblica e ora sono una risorsa preziosa e matura del proceso bolivariano».
Un paese in assemblea permanente, dalle piazze a Mirafiori. l livello di maturità politica esistente nel paese a tutti i livelli sociali è impressionante. Nei governi della IV repubblica, oltre il 50% della popolazione disertava le urne, com’è accaduto giorni fa alle legislative in Colombia. Qui, invece, la «democrazia partecipativa e protagonista» non è uno slogan per addetti ai lavori. La parola cultura assume senso pieno, come si è visto dalla partecipazione alla Fiera internazionale del libro, che si è aperta venerdì. Una forza che si riflette nei profili delle tante donne giovanissime e preparate che provengono dai collettivi di quartiere e dalle organizzazioni popolari, presenti nel governo ai più alti livelli.

I grandi media privati, parte in causa nel conflitto (di classe), cercano di intorpidire l’immaginario presentando lo «sciopero dei ricchi» come rivolta giovanile contro «la dittatura». Ma basterebbe trascorrere una settimana in questo caleidoscopico bazar di idee e prospettive per comprendere l’assurdità della definizione.

Giovedì, nella capitale hanno sfilato operai di tutte le categorie. Ieri si è svolta una marcia moltitudinaria «per il rispetto delle Forze armate e per la pace». Maduro ha consegnato 40 case popolari completamente ammobiliate agli operai del quartiere di Santa Cruz (nello stato di Miranda), e ha annunciato fondi per 100 milioni di bolivar per lo sviluppo locale. Durante il mese di proteste, sono state consegnate oltre 15.000 case popolari. Per il 2014, i fondi destinati all’edilizia pubblica ammontano a 56mila milioni di bolivar, che si aggiungono ai 15.600 milioni stanziati questa settimana per la viabilità e le infrastrutture. Frutteranno oltre 70.000 posti di lavoro.

Diversi progetti riguardano la tutela dei mototaxi. I «motorizados» sono circa 2 milioni, organizzati in cooperative e impegnate al contempo nei collettivi di quartiere. Un settore informale a cui il socialismo bolivariano ha dato fisionomia e diritti. Il governo li ha incontrati giovedì all’Hotel Alba, dove si è svolto un capitolo della Conferenza nazionale per la pace. C’erano anche i collettivi di «motorizados con discapacidad», venuti all’incontro sulle loro sedie a rotelle. Prima della vittoria di Chávez (1998), il Venezuela contava 700.000 universitari, ora ha 2 milioni e 600.000 studenti universitari (il II posto in America latina e il V nel mondo) e un sistema totalmente gratuito. Gli studenti, in Venezuela come in altre parti del mondo, sono stati l’innesco per altri movimenti popolari, come nel ’68 in Italia o in Francia. Qui, solo una parte degli universitari di destra si è fatta abbindolare dalle «guarimbas», gli altri se ne sono distanziati e hanno ripreso i corsi. Pur consapevole delle difficoltà esistenti, la maggioranza degli strati popolari ha imparato da che parte stare.