Lo scorso 5 marzo Tamás Sulyok è divenuto ufficialmente il nuovo presidente ungherese. Ha preso il posto di Katalin Novák, dimissionaria dopo neanche due anni dall’inizio del suo mandato, a causa di uno scandalo riguardante episodi di abusi sessuali su minori. Uno scandalo che, come abbiamo avuto modo di sottolineare in precedenti articoli, ha sollevato indignazione nel paese e provocato quella che forse può essere considerata la prima vera e propria crisi politica che Orbán abbia dovuto affrontare dal suo ritorno al potere, fatto avvenuto nel 2010.

67 anni, presidente della Corte Costituzionale dal 2016, definito dalle opposizioni un “soldato del Fidesz”, Sulyok era stato designato dall’Assemblea Nazionale lo scorso 26 febbraio a succedere alla Novák, a seguito del voto decisivo sulla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla NATO. Potendo contare su una maggioranza parlamentare di due terzi, il partito governativo aveva avuto modo di procedere agevolmente a questa nomina.

A questo punto, l’Ungheria manca di donne titolari di cariche in vista in ambito politico-istituzionale. Non ci sono più ministre dopo le dimissioni di Judit Varga da responsabile del dicastero della Giustizia e, come sappiamo, è uscita di scena quella che è stata la prima presidente della Repubblica nella storia del paese. In più, con la rinuncia della Varga al ruolo di responsabile della campagna elettorale del Fidesz relativa al voto europeo del prossimo giugno, il compito è stato affidato a Tamás Deutsch che è stato ministro della Gioventù e dello Sport all’epoca del primo governo Orbán (1998-2002) e che è ora capo delegazione del Fidesz al Parlamento europeo.

Questa situazione era già stata notata da Bruxelles e, al di là delle dimissioni di Novák e Varga, possiamo dire che, soprattutto di questi tempi, in Ungheria la politica non è a misura di donna. Non lo è né per le forti lacune in termini di rappresentanza femminile a livelli dirigenziali in questo settore, né per le scelte politiche che riguardano il sesso femminile e il suo ruolo nella società.

Ma torniamo allo spunto iniziale che ci ha portati a constatare il fatto che dai primi di questo mese lo Stato danubiano ha ufficialmente un nuovo capo di stato che sta benissimo alla maggioranza di governo. Máté Kocsis, capogruppo del Fidesz al Parlamento ungherese l’aveva definito il “candidato più adatto”. Vedremo più nel concreto lo spessore di questa figura così vicina al partito arancione, fermo restando che, per gli oppositori dell’esecutivo, è chiaro che si tratta di un soldatino diligente nelle mani del premier.

Questo sul fronte interno, sul piano della politica internazionale c’è da segnalare il fatto che la candidatura di Mark Rutte al ruolo di segretario generale della NATO è poco gradita a Budapest e, in generale, sembra che faccia storcere il naso nella parte centro-orientale del Vecchio Continente. Così, la corsa del premier olandese uscente verso la conquista del titolo in questione potrebbe rivelarsi più difficoltosa del previsto. L’Ungheria parrebbe intenzionata a usare il suo potere di veto per rappresaglia nei confronti di Rutte che ha più volte criticato nettamente il governo di Viktor Orbán per le sue politiche repressive nei confronti della comunità LGBTQ+.

Nel corso di una conferenza stampa tenutasi proprio lo scorso 5 marzo, il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha dichiarato che Budapest non appoggerà Rutte. Il capo della diplomazia danubiana ha detto più precisamente, come riportato dalla Reuters: “Non possiamo sostenere l’elezione alla carica di segretario generale della NATO di un uomo che ha cercato di mettere l’Ungheria in ginocchio”.

Szijjártó si è riferito, nella circostanza, ad alcune dichiarazioni fatte da Rutte nel 2021 e contenenti accuse di violazioni dello Stato di diritto nel paese della Puszta. Secondo le fonti a disposizione Rutte avrebbe detto, all’epoca, che “l’obiettivo a lungo termine è mettere l’Ungheria in ginocchio su questa questione (le violazioni dello Stato di diritto, N.d.R.)”. Rutte avrebbe precisato che, con la legislazione anti-LGBTQ+ introdotta da Orbán, l’Ungheria “non ha più niente a che fare con l’Unione europea”.

Rutte è appoggiato da USA, Regno Unito, Germania e Francia e risulta comunque favorito nella corsa alla leadership della NATO, mentre, come già precisato, diversi stati europei centro-orientali e i baltici non sono entusiasti di questa candidatura ma per motivi diversi da quelli che sono al centro della contrarietà ungherese. In generale i medesimi lamentano un trattamento discriminatorio per quel che concerne le opportunità di accesso ad alte cariche. In questo senso il percorso europeo di Donald Tusk, attuale premier polacco, e le esperienze dell’ex primo ministro Jerzy Buzek possono essere considerati un po’ un’eccezione. Intanto il governo Orbán punta i piedi e si prepara agguerrito all’appuntamento con le elezioni europee.