All’orizzonte dello «Sblocca Italia» si anuncia una pioggia di ricorsi. Arriveranno dalle regioni, dai comuni e da quelli che Renzi ha ribattezzato, con tutto il disprezzo che lo contraddistingue, «comitatini». La realtà dimostra tutt’altro: è in corso da settimane un gigantesca mobilitazione che ha dato vita alla campagna «Blocca lo Sblocca Italia» composta da più di 160 associazioni, ambientalisti e movimenti. A questo movimento oggi partecipano alcune componenti dell’opposizione parlamentare: il Movimento Cinque Stelle che ha presentato la campagna «AttivaItalia» e Sinistra Ecologia e Libertà i cui senatori hanno manifestato in aula mostrando lo striscione del movimento «No Triv» contro le trivellazioni dalla Lombardia all’Abruzzo al Canale di Sicilia.

Le regioni contrarie sarebbero al momento quattro: c’è la Campania di Caldoro, di centro-destra. Vittorio Fucci, assessore al Commercio con la delega alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, ha annunciato un ricorso alla Corte costituzionale per ottenere che sia dichiarata l’incostituzionalità dell’articolo 38 dello Sblocca Italia. Per la stessa ragione dovrebbe ricorrere la Lombardia. Il 27 ottobre scorso la Puglia di Vendola ha dato mandato all’avvocatura regionale di verificare la possibile impugnazione davanti alla Corte costituzionale delle norme sulle trivellazioni. Il Consiglio regionale abruzzese ha deliberato all’unanimità il ricorso. L’impegno della giunta di Luciano D’Alfonso è precedente all’approvazione definitiva dello Sblocca Italia. Sulla spinta del movimento dell’acqua, di Legambiente, Wwf e Greenpeace e l’impegno, la decisione potrebbe essere confermata. In Basilicata, la situazione si preannuncia drammatica. Il 15 ottobre scorso i sindaci dei comuni della fascia jonica e collinare lucana (Aliano, Craco, Bernalda, Montalbano e Tursi) hanno scritto al governatore Pittella chiedendo il ricorso alla Consulta. La regione verrà presa d’assalto dalle trivelle.

La pratica autoritaria della democrazia, coerente con la creazione di poteri eccezionali per continuare a costruire grandi opere devastando il territorio, è una caratteristica acquisita dal governo Renzi. Considerate le prime azioni delle regioni, e di decine di comuni tra cui c’è anche Napoli, produrrà un enorme conflitto inter-istituzionale con gli enti locali, senza contare quelli con i movimenti e le associazioni in ogni piazza e strade, vicolo di campagna o montagna. Così facendo il governo vuole portare la Val di Susa in ogni angolo del paese.

Non c’è dubbio che al centro di questo conflitto che terrà impegnato a lungo, e drammaticamente, il paese ci sono le norme ribattezzate «Sbloccatrivelle»: gli articoli 36, 37 e appunto il 38. Per i movimenti, e si potrebbe dire anche per gli enti locali, rappresentano un gigantesco favore alle compagnie petrolifere a cui vengono attribuite le attività di rigassificazione e trasporto del gas in Italia e in Europa, oltre a quelle di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi e stoccaggio sotterraneo del gas.

A queste attività lo «Sblocca Italia» attribuisce un «carattere di interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti e indifferibili». Il potere discrezionale delle multinazionali viene preferito alle regioni i cui rappresentanti sono stati eletti democraticamente. Di questa partita fa parte il Tap («TransAdriatic Pipeline»), il gasdotto che dall’Azerbajian arriverà sulle coste del Salento e il progetto «Tempa Rossa» che impatterà a Taranto. Questo significa che l’estensione delle attività petrolifere o estrattive aumenterà dal 35% al 64% sul territorio lucano, in Abruzzo dal 26% all’86%, in Emilia Romagna dal 44% al 70%. In un commento pubblicato su Altreconomia, Pietro Dommarco, già autore di «Trivelle d’Italia», parla di una «militarizzazione energetica» in odore di incostituzionalità, pianificata dai ministeri competenti. Al centro del progetto di sviluppo prospettato agli italiani dal governo c’è il paradigma estrattivo, ultima evoluzione di quella che il geografo David Harvey ha definito l’«accumulazione capitalistica per espropriazione». Dei beni comuni, delle acque, della terra, del patrimonio pubblico e dell’energia.