Alessandra Maiorino, si aspettava questa vittoria?
Le premesse c’erano tutte. Ma dobbiamo dire anche che è stata una corsa in salita. Alcuni hanno messo a rischio questo progetto. Mi riferisco a Soru, sceso in campo sapendo di non poter vincere.

Cosa ha fatto la differenza?
L’autorevolezza di un progetto plurale, l’autenticità e la preparazione della candidata. Alessandra ha avuto la capacità di incarnare quei valori identitari che per la Sardegna sono importanti. In più, è riuscita a coniugarli con un’immagine positiva e vincente. Non è apparsa competitiva ma, appunto, vincente nel senso che ha mostrato di avere le carte in regola per diventare presidente. Mi riferisco alla sua storia ma anche al fatto di essersi posta in questa campagna elettorale in maniera sorridente e determinata. Si è presentata senza personalismi, da donna che non lavora per sé ma per un progetto ampio e condiviso.

È la prima volta di una presidente della Regione Sardegna donna.
Il futuro è donna e questo fattore ha avuto un peso, per il semplice motivo che quando si parla di cambiamento avere una figura femminile che lo incarna rende il progetto più credibile.

Ci sarà un effetto trascinamento sui prossimi appuntamenti elettorali, a partire dall’Abruzzo?
Penso che si debbano unire i puntini, nel senso che il malcontento che finora è rimasto sotto traccia adesso sta venendo fuori. Prima c’era chi non trovava modo per manifestarlo o magari aveva provato a dare fiducia a Meloni, e ora si sta ricredendo per diverse ragioni: le facili promesse delle campagne elettorali del centrodestra che vengono disattese, il clima di repressione che si respira nel paese, l’insoddisfazione per le politiche economiche, le paure legate al progetto dell’autonomia differenziata, che penalizzerà proprio Regioni come l’Abruzzo. L’atto d’imperio compiuto da Meloni in Sardegna ne ha anche segnato la sconfitta; in Abruzzo le cose sono diverse, e tuttavia anche lì il candidato, Luciano D’Amico, un civico, è persona credibile che offre un modello di politica altruista opposta a quella dell’attuale presidente. La partita è tutta da giocare.

Todde, candidata proposta dal M5S, vince ma il Pd è il primo partito della coalizione.
Mi piace questa lettura, tutti possono uscirne vincitori, senza accuse di subalternità. Todde è stata convincente perché equivicina a tutte le forze che l’hanno sostenuta, civiche e politiche: nessuno si è sentito secondo, tutti erano importanti. Questo approccio fa bene, porta con sé una visione e genera fiducia.

Non c’è il rischio che fino alle europee di giugno prevalgano gli interessi dei singoli partiti?
Alle elezioni europee ciascuno va per sé, quindi le condizioni sono molto diverse. Ma da persona che ha sempre votato nel campo progressista, penso si debba lavorare per costruire un fronte comune, pur nelle reciproche e legittime diversità e senza fare cartelli elettorali che si tengono insieme solo fino alle elezioni. Se guardiamo nell’altro campo, vediamo che volano sgambetti e botte da orbi, ma poi si presentano uniti come se nulla fosse. Ala base di un dialogo tra forze politiche ci dev’essere comunanza di visione, di valori e di modello di società che si intende costruire. Come M5S siamo diversi dal Pd o da Avs, e ne siamo orgogliosi; ciò però non significa che non si possa dialogare su singoli temi e costruire un percorso insieme. Il 2027 non è così lontano.

Pensa che i sardi abbiano mandato un segnale anche in tema di riforme istituzionali?
Sì, e mi auguro che la Sardegna faccia scuola anche da questo punto di vista. Mi auguro che questa sia la prima picconata ai folli progetti che Meloni e Salvini stanno mettendo in campo, dal premierato all’autonomia differenziata. Sono disegni ai quali non credono neanche loro, progetti sballati che non hanno alcuna conseguenza positiva sul paese ma che perseguono per ragioni partitiche, non certo perché miglioreranno la qualità della vita o il funzionamento delle istituzioni. Sono modelli già sconfitti dalla storia che si affannano a proporre come novità. Ma gli elettori non sono sciocchi, e la Sardegna ne è la dimostrazione.