È possibile superare la dicotomia che, tradizionalmente, vede contrapposte una concezione ciclica del tempo, attribuita al pensiero greco, a quella lineare, che sopraggiunge con l’avvento del pensiero cristiano? Oltre la storia come linea orientata verso un fine (messianico o rivoluzionario che sia), c’è solo l’eterno ritorno dell’uguale? La raccolta d’interventi intitolata Tempora Multa. Il governo del tempo (a cura di Vittorio Morfino, Mimesis, pp.322, euro 26) sembra dire di no. I vari saggi del libro si propongono di rintracciare una sotterranea linea alternativa, rimasta marginale e nascosta: quella delle temporalità plurali. Non una reductio ad unum dei tempi secondari rispetto a uno principale, non un tempo omogeneo in cui ogni singolo momento è espressione della totalità della storia, bensì una plurivocità di tempi, una poliritmia che stravolge la filosofia classica della storia e che ripensa la temporalità dei processi politici e dei suoi «soggetti». Vittorio Morfino, nella sua prefazione, individua una possibile «tradizione materialista» in grado di riflettere le temporalità plurali. Un fil rouge che passerebbe dalla pluralità dei mondi epicurea, alla lucreziana textura rerum in cui «ogni congiunzione di atomi ha un proprio ritmo, pur non esistendo isolatamente, ma intrecciata a innumerevoli altri». L’eredità di questo assunto concettuale sarebbe poi raccolta dal Machiavelli dei Discorsi, in cui la storia di Roma e la sua grandezza sono pensate «alla luce del primato della materia sulla forma, del caso e del conflitto sulla forma mista cui ha dato luogo, a partire dalla pluralità di forze che sottende l’unità». Proseguendo poi nel tratteggio di questa linea sotterranea, Morfino delinea l’ingresso dell’acutissimo fiorentino nella biblioteca di Spinoza. Quest’ultimo, dunque, lungi dall’essere il filosofo à la Hegel, incapace di pensare la storia e il tempo, diventa colui che fa della conoscenza sub specie aeternitatis qualcosa che relativizza, che esibisce il tessuto relazionale e quindi genealogico di ogni cosa singolare, il suo essere ritmo tra i ritmi. Infine, questo pensiero arriva «carsicamente» fino a Darwin, che respinge l’idea di un tempo unico come legge dell’evoluzione della specie. Una «tradizione materialista» sui generis, dunque, che pure fornisce, secondo gli autori della raccolta, gli strumenti necessari per proseguire nella ricerca. Augusto Illuminati, ad esempio, analizza il tema della temporalità nella concettualizzazione rousseauviana della volonté generale che ha il compito di garantire la durata, la stabilità del sempre, per contrapposizione alla fluttuazione nel tempo propria della volonté de tous. Luca Basso, invece, mette a confronto le differenti prospettive che emergono da due punti di vista sulla Rivoluzione Francese: quello dell’abate Sieyes e quello di Marx. E una forma di pluralità della temporalità è ritrovata da Peter Thomas anche nella riflessione gramsciana. Così, nei Quaderni del carcere si ritrovano spunti importanti per pensare la natura fratturata del tempo storico e lo stesso individuo come sito archeologico in cui i processi storici hanno lasciato tracce infinite. E ancora, Nicola Marcucci delinea l’influenza che la riflessione sulle temporalità plurali ha avuto nei postcolonial studies, e come l’ideologia del tempo unico e primario abbia fortemente connotato imperialismo e colonialismo. Il tema della temporalità plurale risulta tanto più rilevante quanto più lo si confronta con la scarsa importanza che esso ha potuto avere all’interno del dibattito marxista, rimasto spesso incagliato in un’interpretazione scolastica-ortodossa che fa del tempo una lunga linea del progresso verso il comunismo. Che significato ha allora, oggi, interrogarsi sulla temporalità plurale? È Vittorio Morfino a offrirci un’esplicita quanto polemica risposta nel suo articolo Sul non contemporaneo – Marx, Bloch, Althusser. «Significa rinunciare a un soggetto collettivo pieno e prendere le distanze dall’idea che, dal Manifesto a Storia e coscienza di classe fino agli ultimi scritti negriani, ha attraversato e forse dominato la tradizione marxista secondo cui il soggetto collettivo emergerebbe dalla struttura sociale stessa in un farsi soggetto della sostanza». Se volgiamo lo sguardo ai movimenti sociali che stanno attraversando negli ultimi anni l’area euromediterranea, dalla Spagna alla Grecia, passando per i movimenti Occupy, fino alla Turchia e al Brasile non possiamo non comprendere l’urgenza di una riflessione sulla temporalità di cui questi movimenti si nutrono e che essi stessi istituiscono. Lo stesso scenario dei movimenti italiani sta imponendo questa riflessione sempre più urgente. Non esiste un’ora «x» per la rivoluzione, ma esistono temporalità specifiche, a volte difficili da comprendere e da connettere, ma articolate in movimenti poliritmici e polisinfonici, che si costruiscono all’interno degli stessi processi di rivolta, al di là di ogni confine.