Appena liberato, ieri, se n’è andato in Germania, con un volo privato, dalla madre malata lì in cura. Ma i conti già non tornerebbero. Perché la donna, in Germania, ci sarebbe dovuta andare oggi. Al momento del rilascio del figlio, così è stato riferito, si trovava ancora a Mosca.

Perché tutta questa fretta nel volersene andare subito? Forse perché Mikhail Khodorkovsky vuole scrollarsi così di dosso, con una corsa all’estero, il ricordo di questi dieci anni di prigionia. Forse perché questo è semplicemente l’inizio del suo esilio. Anche questo s’è sussurrato. Gli elementi a supporto della tesi sarebbero la prontezza nel rilascio dei documenti di viaggio da parte delle autorità russe, l’interessamento solerte dell’ambasciata di Germania a Mosca e il jet privato fornito dalla compagnia energetica Obo Bettermann su intercessione dell’ex ministro degli esteri tedesco Hans-Dietrich Genscher, che con Helmut Kohl gestì la riunificazione.

Se ne capirà di più nei prossimi giorni. La notizia certa, l’unica, è che comunque Mikhail Khodorkovsky, l’ex oligarca, il grande nemico del Cremlino, ha lasciato la colonia penale della Carelia – regione nordoccidentale della Russia – dov’era rinchiuso. Putin gli ha concesso la grazia. «Motivi umanitari» la ragione. Sarebbero legati proprio alla salute precaria della madre.

Non è stato un detenuto qualunque, Mikhail Khodorkovsky. La sua vicenda biografica è una cartina di tornasole dell’epoca Putin. Il processo istruito nei suoi confronti nel 2003 con l’accusa di frode fiscale e terminato con una scontata condanna nel 2005, è stato il simbolo dello scontro frontale tra i tycoon e il Cremlino che ha caratterizzato le prime battute del progetto accentratore del presidente russo.

Quando salì al potere, nel 2000, fece capire che la baldoria dei tempi di Eltsin sarebbe dovuta finire. Durante quegli anni gli oligarchi avevano accumulato livelli di ricchezza e potere incredibili, approfittando delle privatizzazioni low cost e arrivando a dettare a Eltsin le regole del gioco. Putin mise in chiaro che con lui il Cremlino avrebbe riacquisito autorevolezza, diventando l’apice della cosiddetta «verticale del potere». Gli oligarchi avrebbero dovuto assecondare la svolta, lasciando da parte le ambiziosi politiche. In cambio avrebbero potuto continuare a fare i loro affari.

Non tutti si adeguarono. Si avviò la macchina della «giustizia selettiva». Boris Berezovsky e Vladimir Gusinsky, che al tempo di Eltsin spadroneggiavano, scelsero l’esilio. Khodorkovsky no. Restò in Russia, sfidò Putin. Sostenne le attività dell’opposizione, si batté contro l’offensiva del Cremlino sui media, promosse il verbo del liberismo occidentale, opposto al modello di capitalismo di stato propugnato da Putin.

Fu guerra aperta. Arresto, accusa di evasione, processo e condanna. Khodorkovsky, assieme al socio in affari Platon Lebedev (ancora in cella), perse tutto: la libertà e la sua Yukos, colosso del petrolio, il pezzo da novanta di un’ascesa iniziata ai tempi della perestrojka, quando Khodorkovsky, esponente brillante del Komsomol di Mosca, la gioventù comunista, approfittò dell’apertura all’iniziativa privata e fondò prima un caffè e poi un’azienda di software. Poco dopo creò una banca e diede la scalata a Yukos. La pagò pochissimo, la fece crescere a dismisura. Il processo fece finire tutto. L’azienda fu smembrata.

Khodorkovsky sarebbe dovuto uscire di cella nel 2011, ma nel 2010 ha subìto un altro processo e un’altra condanna. In questi anni ci sono stati svariati botta e risposta tra lui e Putin. Il presidente gli ha sempre dato del farabutto, rimarcando che la chiave della sua carriera imprenditoriale non è stato il talento, ma l’evasione. Khodorkovsky, approdato nel frattempo a una visione liberal-socialista della società, ha invece denunciato la deriva autoritaria della Russia putiniana. Quale la prossima puntata? Difficile dirlo. Facile, invece, individuare il motivo della grazia. Il punto è che la Russia di oggi è la sintesi quasi perfetta del credo putiniano. Il Cremlino è l’arbitro supremo del sistema e gli oligarchi di oggi – Roman Abramovich, Oleg Deripaska, Mikhail Prokhorov e altri – sono mansueti. Khodorkovsky non fa più paura. E forse c’è anche da dimostrare al mondo, in vista delle Olimpiadi di Sochi (v. anche l’amnistia promulgata), che la Russia non è il paese cinico che tutti dicono. Insomma, l’ex titolare di Yukos può tornare in libertà. Sarebbe uscito comunque nel 2014. La grazia gli abbona solo qualche mese di condanna.