A Roberto Ciccarelli e Alba Sasso, che sul manifesto difendono dalle critiche della Cei il progetto educativo delle associazioni Scosse e Archivia, chiedo se possiamo conoscere qualcosa nel merito di questo progetto che si rivolge a educatrici e educatori dell’infanzia. Dire che la diocesi di Roma lo attacca non basta, tanto meno se non ci fate ascoltare anche l’altra campana o qualche voce critica. Non basta nemmeno dire i mali che il progetto intende combattere: qui l’accordo è facile, il problema è sapere il come e i presupposti, per valutarli.

Due motivi mi spingono a diffidare della bontà della causa da voi difesa e, soprattutto, a criticare il modo in cui la difendete. Uno è di attualità politica. Il progetto in questione somiglia a quella legge avanzata (e poi ritirata) da Hollande in Francia per una riforma educativa ispirata alla teoria di genere e finalizzata alla lotta contro il sessismo, il razzismo, l’omofobia, fin dall’infanzia. Hollande, davanti alle vivaci proteste delle famiglie mussulmane e cattoliche (e forse anche altre), ha ritirato la legge e in questo, a mio giudizio, ha dato prova di un tardivo buon senso: non si può innovare l’educazione delle persone piccole e giovanissime senza la partecipazione del contesto familiare e culturale. Vi chiedo: volete fare del manifesto il difensore delle cause perse?
Il secondo motivo nasce da idee guadagnate con la riflessione unita a un impegno politico per la libertà sessuale. Devo limitarmi a un punto soltanto. Dare la caccia agli «stereotipi» sessisti, razziali o altro che si formano nell’infanzia, è sbagliato. Per saperlo, basterebbe aver letto un po’ meglio Judith Butler. Nomino lei perché a lei si fa risalire la cosiddetta «gender theory». A scusa delle letture semplicistiche, c’è da dire che Butler non è famosa per la sua chiarezza… una ragione in più per andarci piano, specialmente con le applicazioni pratiche. Tanto per fare un esempio, il titolo del suo libro forse più maturo su questi temi, «Undoing Gender», è stato tradotto con «La disfatta del genere» (Meltemi 2006), che travisa il senso del libro.

Sesso e genere ci costituiscono in quello che siamo, stereotipi compresi che si possono sciogliere come nodi, ma non contrastare. Chi avesse questa pretesa, metterà al loro posto le sue pensate e le sue servitù. Vi ringrazio dell’attenzione.
Luisa Muraro

Gentile Muraro,
La ringrazio per la sua attenzione. Stiamo però parlando di un corso di formazione per le e i docenti, peraltro volontario. In genere nei corsi di formazione ci si confronta tra adulti, si discute, si affrontano insieme questioni che attengono al delicato compito dell’educare. Penso che le adesioni numerose all’iniziativa in questione da parte delle e degli insegnanti esprima il bisogno di avere un luogo di riflessione sui tanti cambiamenti che avvengono oggi nella vita delle bambine e dei bambini e delle famiglie. Cambiamenti di fronte ai quali la scuola è spesso sola a gestire complessità e situazioni inedite. E so che su temi sensibili come questi le e gli insegnanti si confrontano con le famiglie e non potrebbe essere diversamente.

Quello che mi sembra insopportabile è che autorità esterne alla scuola decidano di bloccare una proposta come questa. Come è avvenuto più volte nel passato. E credo che invece attrezzarsi come docenti e famiglie a capire le diversità a rispettarle e a saperle gestire sia una cosa importante e ineludibile. Tutto quello che si decide di espellere dalla discussione nella scuola, nella scuola ritorna attraverso le persone che ci vivono (adulte e adulti, bambine e bambini) ma come tema «non nominato», fonte spesso di dolore e sofferenza.

Poi, certo, su un tema delicato come l’educazione si può fare meglio. Ma una richiesta degli insegnanti va ascoltata. Non lasciateci soli. Un caro saluto

Alba Sasso