Sul manifesto di sabato 10 maggio Sarantis Thanapulos riprende una ricerca sui bambini autistici che afferma che anche in questo campo non tutto è dovuto alla genetica. Gli autori inseriscono tra le altre possibili cause i fattori ambientali (non quelli psicorelazionali). Questo studio spinge Thanapulos ad affermare che il mondo della scienza è accecato dalla sua visione materialistica «…la verità della casa in cui alloggiamo diventa la solidità della sua struttura, delle sue tubature, della sua rete elettrica.. e non il modo di abitarla, di usarla, di viverla..». Non discuto le conclusioni a cui arriva l’autore dell’articolo ma trovo sbagliate le premesse.
Nella grande maggioranza dei bambini affetti da autismo è presente ritardo mentale, disturbi neurologici e alterazioni del linguaggio (il linguaggio è conservato nella sola Sindrome di Asperger, la forma di autismo che i lettori conoscono attraverso la rappresentazione filmica, con soggetti capaci di memorizzare un elenco telefonico). Solo una piccola parte dei bambini autistici diventati adulti arriverà all’autosufficienza.

Pertanto:

  1. difficile pensare che non vi siano danni organici nel cervello (anche se non visibili con gli attuali strumenti diagnostici).
  2. poco credibile l’ipotesi psicorelazionale, occorrerebbe ipotizzare che in pochi mesi di vita un’alterata relazione con i genitori sia in grado di causare tali disturbi.
  3. il danno al cervello non è come un danno ad un altro organo del corpo, è evidente che l’alterazione del sistema nervoso possa avere ricadute sulla vita di relazione.
  4. la psicoanalisi in questo campo è stata più «deterministica» di altri settori della medicina quando ha ipotizzato che l’autismo fosse favorito da genitori «incapaci di amare», colpevolizzando intere generazioni di padri e madri con figli autistici.

In sintesi: questa ricerca sull’autismo non può essere collegata a valutazioni per cui «oggi conta più la quantità che la qualità nella nostra vita»; può essere vero, ma è meglio lasciare in pace l’autismo.

Roberto Stura, medico, Casale Monferrato

Risposta:

Caro Renato,

la ricerca sull’autismo non può ignorare gli affetti e l’espressione del desiderio: comunque spieghiamo la loro condizione i bambini autistici sono soggetti desideranti inespressi. Un approccio equilibrato al loro problema dovrebbe tenere conto delle dinamiche emotive della relazione con il loro ambiente e in particolare con i genitori. Sostieni che nell’autismo l’alta frequenza di ritardo mentale, di alterazioni del linguaggio e di disturbi neurologici non può non far pensare a danni cerebrali. È un’affermazione molto discutibile.

Queste correlazioni indirette restano ipotetiche fino a prove dirette che, come tu stesso ammetti, non esistono (né sembrano in arrivo) e non spiegano i tanti casi dell’autismo in cui sono assenti i disturbi neurologici. Inoltre, un bambino in isolamento affettivo dal mondo può avere problemi di appropriazione del linguaggio e di sviluppo mentale indipendentemente dall’esistenza di una lesione organica. O pensi che sia possibile separare lo sviluppo cognitivo da quello emotivo? Dici che la psicoanalisi è deterministica nel campo dell’autismo mentre sostieni il determinismo più assoluto: il danno al cervello. Che pochi mesi all’inizio della vita bastino a creare disastri, è un’evidenza che fa parte della clinica psicoanalitica ma anche del nostro patrimonio culturale: più un danno è precoce più è devastante e non solo tra gli esseri umani.

La psicoanalisi non fa derivare l’autismo dall’incapacità di amare dei genitori. Le relazioni tra genitori e figli sono complesse, non si riducono alla capacità di amare o di odiare e le complicazioni maggiori sono il prodotto di errori preterintenzionali. Per questo le famiglie sono luoghi di affetto ma anche di disastri relazionali e sarebbe insensato negarlo. Che intere generazioni di genitori siano stati colpevolizzati dagli psicoanalisti mi fa pensare alla leggenda dei comunisti che mangiavano i bambini. La psicoanalisi si astiene dal giudizio e dalle condanne morali e sostiene il senso di responsabilità. Chi assume la responsabilità di rimettere in movimento il desiderio e l’affetto in situazioni di dolore che nessuno ha consapevolmente determinato e nessun avrebbe potuto determinare da solo?

Sarantis Thanopulos