Mosca s’è mossa sulla scacchiera ucraina senza commettere sbavature, dicono molti esperti di cose strategiche e militari. Ha una stazza militare inferiore a quella occidentale, ma è riuscita a prendersi la Crimea senza sprecare una goccia di sudore e a scatenare il pandemonio nell’est ucraino mettendo alle corde il governo di Kiev, come gli euro-americani. La Russia sta combattendo una guerra diversa dalle solite, fondata su tanti contenuti psicologici e senza coinvolgimento formale dei suoi soldati. Che però in Crimea hanno garantito le fazioni di autodifesa (come ammesso da Putin) e tra Slaviansk e Donetsk stanno facendo lo stesso con le fazioni filorusse, armate a dovere e con competenze militari. Il che ha spinto a dire che esercito e servizi russi, più che dirigerle dall’esterno, le conducono da dentro.

Operazioni del genere non si conducono senza know-how e competenze d’eccellenza. Alcune delle quali, questo il paradosso, sarebbero state assicurate dalla Germania, un paese membro di quella Nato che nella gerarchia russa delle minacce si colloca molto in alto. Il Daily Beast ha pubblicato nei giorni scorsi un articolo in merito, sentendo alcune fonti del Senato e dell’intelligence che hanno rivelato che a Washington inizia a circolare l’idea che il balzo in avanti qualitativo delle forze russe poggi anche, oltre che sulla riforma militare intrapresa dal Cremlino a partire dal 2008, sul fatto che Berlino abbia favorito l’addestramento dei soldati di Mosca e delle unità Gru Spetsnaz, le unità d’élite che sarebbero state mobilitate in Crimea e nell’est ucraino.

Come? Si segnalano le esercitazioni militari congiunte tra i due paesi, ma soprattutto la realizzazione del centro d’addestramento di Mulino, sudest russo, finalizzato alla formazione di 30 mila soldati. 120 milioni di euro il costo della struttura. A incaricarsi della realizzazione è stata la Rheinmetall, la più grossa realtà manifatturiera della Germania in ambito militare. Il contratto con il governo russo risale al 2011. Il centro non è stato ancora completato, ma il Daily Beast riferisce che a Washington qualcuno crede che nel frattempo sia stata comunque utilizzata.

Le trasmissioni di know-how durante le esercitazioni congiunte (Mosca le ha fatte anche con Washington) sono difficili da provare, forse anche da sostenere. Ma il confronto in corso in Ucraina e la strategia di Putin stanno portando gli americani e la Nato in generale a cambiare postura, a diventare sospettosi e a ricalibrare il registro dei rapporti con la Russia.

Gli europei, anche se non sempre con prontezza, si adeguano. Anche perché dalle prime battute della crisi ucraina hanno sempre espresso sostegno al movimento della Majdan. Berlino è sotto pressione. Con Mosca ha in ballo tanti interessi economici, ma non può mostrarsi flaccida. A fine marzo il ministro dell’economia Sigmar Gabriel ha congelato il progetto della Rheinmetall in Russia, che è ormai praticamente completato. Parigi si trova, rispetto ai tedeschi, in una situazione ancora più scomoda. Nel 2011 ha firmato un’intesa con la Russia, ancora più lucrosa di quella di Rheinmetall, per la consegna di due navi da guerra classe Mistral, per un miliardo e 200 milioni di euro.

Non basta. L’accordo del 2011 è una rottura storica: mai un paese Nato aveva scelto di vendere alla Russia un mezzo militare dal così alto coefficiente offensivo. All’Eliseo si discute se sospendere o meno il contratto. Tutti questi soldi, visti i tempi che corrono, fanno gola. Ma dare a Mosca quelle navi, tenuto conto del pasticcio ucraino, è politicamente rischioso. Lo era di meno due anni fa. Gli stessi americani valutavano con meno fastidio gli affari di Francia e Germania con la Russia. Nell’aprile del 2012 Paul Belkin, Derek Mix e Jim Nichol, tre analisti del servizio ricerche del Congresso Usa, produssero un documento su queste cose, allargando il campo all’Italia e alla commessa di 3 mila blindati Lince per 800 milioni, ottenuta da Iveco. Sempre nel 2011.

Solo una parte dei mezzi è stata consegnata. L’anno scorso Mosca ha fatto decadere il contratto. Il file del servizio ricerche del Congresso, benché segnalasse l’irritazione dell’Europa centrale e baltica, non stigmatizzava più di tanto i contratti francesi e tedeschi (e italiani) con la Russia. Da una parte Washington stava lanciando la dottrina del reset button, cercando di smussare le relazioni bilaterali con Mosca. Dall’altra gli europei, complice la crisi, avevano bisogno di commesse.