Tecnofilia e tecnofobia sono due atteggiamenti sempre presenti negli individui e nelle collettività. Tanto più emergono in fasi di impetuosa innovazione tecnologica come quella attuale. Il Web e Internet sono diventati parte fondamentale delle esistenze di ciascuno, delle attività professionali, degli interessi personali, del mondo emozionale. E, naturalmente, anche della struttura politica degli Stati e delle organizzazioni internazionali. Di questo discutono da una prospettiva libertaria Manuel Castells e Tomás Ibáñez in un breve ma denso Dialogo su anarchia e libertà nell’era digitale pubblicato da Elèuthera (traduzione di L. Cortese, postfazione di A. Staid, pp. 67, euro 7,00).

La Rete permette di realizzare «quell’idea di assemblea permanente che è sempre stata parte integrante della pratica utopica anarchica, che ora può concretizzarsi su internet con un sistema di feedback e interazione continui» per mezzo di una «comunicazione elettronica orizzontale» e di tecnologie che «proprio perché sono tecnologie di individualizzazione e di autonomia, sono tecnologie di libertà»; questo non significa tuttavia «che le tecnologie, di per sé, producano libertà, producano autonomia». Anzi. Bisogna essere ben consapevoli che gli stessi strumenti che potenzialmente ampliano gli spazi di libertà sono i medesimi utilizzabili per la repressione e per un controllo «capillare e pervasivo sugli individui e sulle popolazioni».

La prima fonte di informazione, «quella che fornisce i dati basilari attraverso i quali stabiliscono i nostri profili e ci tengono sotto controllo per tutta la vita è la carta di credito» e – insieme a essa – il cellulare che continua a essere localizzabile anche quando il telefono è spento. L’informatica pervasiva del sociale delinea in questo modo il rischio di un vero e proprio neototalitarismo il quale però si trova «a convivere e a confrontarsi con il neoanarchismo».

Quest’ultimo deve riflettere criticamente su alcuni dei propri presupposti, allo scopo di comprendere una dinamica che è da sempre presente nella complessità delle società umane ma alla quale Internet offre l’evidenza del quotidiano: il fatto che anche strutture orizzontali possono essere e diventare strutture di potere che funzionano ancor meglio di quelle gerarchiche.

L’anarchismo è per sua natura pluralista, in divenire, «portatore di una concezione relativistica critica», come ben chiarisce Andrea Staid nella Postfazione. Anche per questo è capace di trasformarsi e di adeguarsi al divenire delle realtà sociali senza perdere la propria identità essenziale. Gli anarchici sono dunque consapevoli – e Castells lo ribadisce – che non bisogna nutrire alcuna illusione sul fatto «che le nuove tecnologie della comunicazione siano tecnologie che promuovono, di per sé, un cambiamento sociale positivo. O, per essere più precisi, è vero che consentono un tale cambiamento, ma sono i processi sociali e le decisioni politiche a dettare le regole circa la direzione da imboccare e le modalità da seguire».

Si tratta di tecnologie capaci di favorire sia l’autonomia sia la sorveglianza. Anche per questo «non ha senso porti il problema se utilizzare o no internet nel timore che ti possano sorvegliare…Sì, è vero, ti possono sorvegliare, ma anche se non utilizzi internet ti possono sorvegliare in vari altri modi, con i satelliti, i poliziotti e così via. Se invece utilizzi internet, anche tu li puoi sorvegliare, e questo cambia molte cose».

Diventa dunque importante difendere con convinzione la libertà della Rete, perché non si tratta di difendere una qualsiasi strumentazione tecnologica ma di salvaguardare le possibilità che Internet offre di «autonomia della produzione di contenuti, autonomia della produzione e diffusione delle idee».

Il dispositivo gramsciano dell’egemonia conferma la propria capacità di disvelare le strutture reali del potere. Anche Internet, infatti, è una prova che «il potere sta nella mente delle persone, e se controlli il modo in cui la gente si informa e comunica, allora controlli il potere. (…) Il dominio degli apparati è solo l’espressione di un dominio più profondo: il dominio delle menti». I rapporti tra struttura e sovrastruttura sono più complessi rispetto ai modelli classici del marxismo perché il lavoro mentale – comprese le passioni – condiziona la vita sociale quanto la struttura economica condiziona la vita delle menti.

La teoria e la prassi anarchica lo hanno sempre saputo e anche per questo continuano a costituire un orizzonte di interpretazione e di trasformazione del reale. Anche dove la realtà assume un aspetto digitale.