Era una scuola materna chiusa da tre anni. Ma un’occupazione, prima di Natale, ha trasformato quell’edificio del quartiere Piano di Ancona in un rifugio autogestito da una cinquantina di senzatetto che altrimenti avrebbero passato le feste sotto a un cavalcavia, intorno a un binario morto o in un altro di quegli angoli bui della città dove scivolano silenziosamente sempre più persone sole, senza lavoro, senza denaro.

È la prima volta da sempre, nelle Marche, che prende corpo una occupazione a scopo abitativo. L’ex materna Regina Margherita è stata ribattezzata Casa de nialtri (Casa nostra, in dialetto locale) ed è un esperimento nato dalla volontà di un circuito di associazioni e formazioni politiche attive per la solidarietà. Oggi Casa de nialtri ospita soprattutto ragazzi dell’est Africa: somali ed eritrei con regolare permesso di soggiorno per motivi umanitari. Uomini in fuga dalla guerra, sbarcati a Lampedusa, che lo Stato italiano e i suoi servizi sociali non sono riusciti a guidare nell’integrazione. Ci sono poi quattro italiani e due nuclei familiari, nord africani e est europei, gente che per decenni ha versato i contributi al fisco ma ora ha perso tutto, casa, lavoro, per entrare in una spirale di povertà senza uscita. Ognuno ha una storia a sé, dettata da destini tragici come da scelte talvolta sbagliate.

Si dorme sotto qualche coperta portata dalla protezione civile. Reti, materassi, cibo, fornelli da cucina e stufe elettriche per il riscaldamento arrivano dalla vicina parrocchia, dalle associazioni e dalla gente del quartiere che ha accolto la nuova occupazione senza timori. I bagni dell’edificio sono a misura di bambino e al momento per fare la doccia bisogna andare negli spogliatori dell’oratorio della chiesa. «Ma almeno qui si mangia intorno a un tavolo e si dorme sotto un tetto», spiegano i ragazzi.

Adam, sudanese di 35 anni, è un ex maestro che la guerra in Libia nel 2011 ha costretto a sbarcare a Lampedusa. Per due anni è stato accolto in Italia col piano di Emergenza nord Africa, poi gli aiuti sono finiti. Prima dell’occupazione passava le notti tra la stazione di Ancona e qualche giardino pubblico. La sua esperienza è simile a quella di molti che oggi vivono in via Ragusa: «Ognuno qui ha chiesto assistenza più e più volte ai servizi sociali del Comune e al Gus (la ong che per conto della prefettura gestisce l’Ufficio di frontiera del porto, ndr). Ma non abbiamo mai trovato risposte definitive. Ci mandavano nei centri di ospitalità notturna, dove puoi stare non più di 45 giorni all’anno. E questo quando c’era posto (il dormitorio ha spazio d’inverno per 30 persone, ndr). Qualcuno di noi ha avuto delle borse lavoro, che però non hanno portato a nulla. Abbiamo fatto avanti e indietro fra i vari sportelli senza mai arrivare a niente, per ritrovarci soli, abbandonati a noi stessi. Nella Casa de nialtri ci è stato dato aiuto, compagnia. Qui ci sentiamo un unico corpo. Abbiamo dignità». La scuola Regina Margherita è stata dichiarata parzialmente inagibile nel 2010 per un problema di sicurezza dei sottotetti in due stanze al secondo piano. Ma l’occupazione si svolge al primo. Sulla carta, c’è l’intenzione di fare dell’ex scuola, entro il 2014, un centro di assistenza disabili. Sergio Sinigaglia, del progetto «Ancona bene comune» coinvolto nella occupazione, spiega: «La città, così come altre in Italia, è piena di edifici pubblici inutilizzati. Si tratta di uno spreco di risorse inaccettabile in questo momento di emergenza sociale. Con l’occupazione abbiamo voluto dare un aiuto immediato. Ma il nostro è anche un segnale agli amministratori: ad Ancona è nato un movimento per l’abitazione e per i diritti di tutti. Chiediamo di individuare edifici pubblici non utilizzati, come la scuola Regina Margherita, per metterli a disposizione di chi è senza un tetto». Uno degli slogan della protesta è «Non si abita in una graduatoria», perché, secondo i suoi sostenitori, gli strumenti messi in campo fino a oggi sono inadeguati dinnanzi all’emergenza. «L’azione nasce da lontano – racconta ancora Sinigaglia – più volte ci siamo recati in Comune a chiedere risposte. In città i senza tetto aumentano silenziosamente. Non sanno più dove andare, hanno chiesto aiuto anche a noi. A dicembre una ventina di loro sono stati accolti nel centro sociale Asilo Politico. Intanto siamo andati ripetutamente negli uffici del comune, per chiedere spazi e offrire il nostro supporto, ma ci siamo sentiti rispondere dall’assessore ai lavori pubblici Urbinati che in città non esiste nessuna emergenza e che è tutto sotto controllo. Abbiamo deciso di non attendere più. Il nostro è un progetto a lungo termine. Questo non sarà un centro di accoglienza ma una comunità dove chi partecipa condividerà progetti e azioni. Ci stiamo muovendo con le nostre risorse per organizzare corsi di lingua e di formazione professionale. Siamo anche pronti a ristrutturare l’edificio con le nostre maestranze».

Fermamente contrariata, preoccupata e a tratti nervosa è stata la reazione del Comune. Per due volte la sindaca Valeria Mancinelli (Pd), si è recata nella scuola per proporre alcune soluzioni e rientrare nella legalità. Nel primo incontro si è parlato di soluzioni abitative nuove, da studiare sulla base dei singoli casi, ma per la durata massima di 5 o 6 mesi, grazie all’ampliamento dei servizi di accoglienza: «Il Comune ha offerto fin dal primo giorno e offre ancora oggi una soluzione immediata per l’emergenza a tutti gli occupanti che lo richiedano, e cioè un tetto, un letto, un posto caldo e pulito dove dormire e lavarsi – ha poi commentato la sindaca in un comunicato – Quello che il Comune e lo Stato non può consentire è l’occupazione abusiva di edifici pubblici come metodo di risposta al problema, perché le regole a volte sono sbagliate, a volte funzionano malamente e bisogna impegnarsi per cambiarle, ma senza regole sarebbe il far west e quando è così i primi che ci rimettono sono proprio i più deboli». Il 2 gennaio, sindaca e assessori sono tornati in via Ragusa, ma questa volta non sono stati lasciati entrare e hanno parlato con alcuni ragazzi africani dalle cancellate della scuola, riproponendo le nuove soluzioni abitative. Quasi nessuno degli occupanti, però, ha deciso di lasciare la Casa de Nialtri. Emma Capogrossi, assessore ai servizi sociali, ribadisce: «I percorsi di integrazione sono lunghi e complicati. Nessuno è mai stato lasciato a se stesso. Anzi, mi pare che con l’occupazione si stiano solo danneggiando i ragazzi. Gli organizzatori fanno muro e non permettono, a noi istituzioni, di entrare in contatto diretto con loro». Anche il Gus è pronto a farsi carico di due nuove alloggi: «Rispetto l’iniziativa, perché ha sollevato un problema. Però le soluzioni prospettate non mi sembrano condivisibili – spiega il responsabile Paolo Bernabucci – Nelle Marche aiutiamo 250 richiedenti asilo, con collaboratori competenti, specializzati e nel rispetto delle regole. Ma non possiamo garantire assistenzialismo senza limiti. È un approccio sbagliato, che crea dipendenza».

Intanto gli abitanti del quartiere non smettono di portare, silenziosamente, buste di cibo o vestiti a chi vive nella ex scuola Regina Margherita. L’occupazione ha ricevuto anche il sostegno del mondo cattolico. L’Arcivescovo Menichelli ha espresso solidarietà agli occupanti. Don Renato, il parroco della vicina Chiesa dei Saveriani, è fra i preti subito intervenuti. «Con tutte le criticità del caso, questa occupazione ha avuto il merito di scuotere le istituzioni e muovere le coscienze. La sera, alla stazione, è pieno di disperati che dormono all’addiaccio, nelle sale d’aspetto, buttati sui cartoni. Bisogna andare e parlare con loro per capire davvero. Non si può più fare finta di nulla. Ho detto alla mia comunità di accogliere senza timore chi vive nella Casa de nialtri. Il quartiere Piano, dove è nata l’occupazione, è il più multietnico di Ancona. La gente è abituata a convivere con gli stranieri. Forse, in un’altra zona della città, sarebbe stato diverso e avrebbe prevalso la paura».