La città è un essere vivente, è un albero che cresce fondato sulle sue radici. All’Aquila, cinque anni fa, è stato inflitto un durissimo colpo che però, per similitudine, non ha fatto cadere l’albero, ne ha troncato una parte. Come in natura, oggi, vediamo che dal tronco ricrescono i rami, rispuntano le foglie, e come per la natura, oggi, L’Aquila riparte arti-ficialmente con una nuova prospettiva.

Visitando in questi giorni L’Aquila, ho visto una città attiva, operosa, tipicamente un luogo in via di sviluppo, realtà ben diversa da ciò che si osserva avvicinandosi man mano al centro, al cuore della città, dove i puntellamenti, le mura distrutte parlano ancora oggi, in maniera straziante, della storia recente del capoluogo abruzzese.

Personalmente mi chiedo: a cinque anni dal terremoto, bisogna mettersi a criticare, a giudicare, ad accusare? Non mi sembra il caso; allora, cosa può fare uno, ad esempio, come me per L’Aquila?

Pensare e immaginare in grande, cioè in senso generale, senza dimenticare che ogni dettaglio della città è un fatto particolare da risolvere. Ogni fenomeno singolare è quindi risolvibile se si ha una visione ampia e il primo passo è sicuramente ricostruire l’immagine dell’Aquila, intesa come bene storico, affrontando i problemi della «ricostruzione conservativa».

La prospettiva pratica richiede che la struttura fisica della città viri verso la costruzione antisismica, quella culturale aquilana richiede invece il mantenimento dell’immagine, delle facciate, cioè della parte pubblica delle case e dei palazzi. Di qui, secondo me, l’inevitabile necessità anche di abbattere per ricostruire, mantenendo però il disegno, le tecniche, i materiali che contraddistinguono il centro storico, l’identità dell’Aquila; dando alle moderne tecniche antisismiche il compito di intervenire, garantendo la città nei confronti di possibili futuri terremoti.

Ricostruire per mantenere l’autenticità è un concetto che il purista della conservazione difficilmente è pronto ad accettare, ma come in Giappone vengono piantati alberi che impiegano 400 anni per arrivare al diametro adatto per ricostruire i templi, così oggi bisogna ricercare le soluzioni e i materiali migliori per rigenerare i nostri beni storici nelle esigenze imposte dalle circostanze. Si deve garantire allo stesso tempo la sicurezza e una vera opera di conservazione, nella specificità della situazione aquilana.

L’Aquila non ha solo una struttura fisica, ma anche e soprattutto un suo spirito. Riattivare lo spirito è l’altra missione, in una città che si è sempre contraddistinta nell’ambito delle arti, dell’educazione, della vita sociale. Valori fondamentali che devono essere ri-formati secondo le nuove esigenze, che ora possono fare dell’Aquila un laboratorio sperimentale che apre verso il mondo trovando linfa, energia e vitalità negli studenti e artisti che istituzioni quali l’Università, l’Accademia e il Conservatorio attraggono da tutto il mondo e attivare con essi uno sviluppo condiviso di ricerca e saperi per produrre le nuove condizioni che la società umana richiede.

In questo senso, è fondamentale creare opportunità di comunicazione, soprattutto per i giovani, e ripristinare la ritualità dell’incontro. Penso, quindi, che sia doveroso un recupero del centro della città, del cuore battente della città, identificando un tempio nuovo, non religioso o politico, ma dedicato alla condivisione del sapere, ispirato a quella dinamica aperta dell’incontro che simbolicamente può essere riconosciuto nei Portici, luogo storicamente dedicato alla comunità, al dialogo e anche al divertimento seriamente impegnato.

Il Terzo Paradiso è una visione prospettica utile a tutti, dall’essere umano moltiplicato in società alla società suddivisa in esseri umani. È il superamento della contrapposizione tra il Primo Paradiso, quello naturale dei primordi e il Secondo Paradiso, artificiale costruito dagli esseri umani, evitando che quest’ultimo collassi catastroficamente sul primo, come ormai scientificamente annunciato.

I grandi sviluppi della scienza e della tecnologia ci hanno portato a delle forme di benessere mai pensate in precedenza, ma le stesse minano le basi sia umano sociali che planetarie, rendendo possibile il paragone con il terremoto naturale come quello dell’Aquila, un terremoto artificiale globale che non in maniera così dirompente e fragorosa, ma in maniera costante e altrettanto catastrofica, pone in serio pericolo la Società.

Gli aquilani e gli amici degli aquilani diventano, quindi, un esatto luogo di esperimento, dove spingere e spronare in direzione di una corretta prospettiva sociale. Il Terzo Paradiso unisce tutti gli opposti nel cerchio centrale del simbolo dell’infinito, nell’impegno comune concentrato nel ventre procreativo della nuova società.

Il 10 aprile porterò all’Aquila il messaggio del Terzo Paradiso attraverso una tavola rotonda e una performance collettiva: un primo segnale offerto alla città per fare del confronto e della discussione la base sulla quale rifondare la visione comune. Quel giorno diverrà, quindi, un momento importante per la nascita di queste nuove prospettive, attraverso l’incontro organizzato da MU6, nell’ambito di RE_PLACE4 la città si illumina di «nuovo», all’Auditorium del Parco con l’amministrazione della città e con le istituzioni essenziali per la produzione della nuova cultura: l’università, le scuole, le accademie, le associazioni, che in seguito dovranno confrontarsi con i tecnici della ricostruzione, per far sì che tutti si sentano uniti, partecipi e responsabili del rinnovamento. Perché è senz’altro vero che dalle idee ne nascono altre, però oggi noi abbiamo la grande opportunità di poter dare un indirizzo a quelle idee.