Precarietà, sfruttamento, demansionamento. È la condizione degli operatori dei centri di accoglienza per migranti e rifugiati a Roma, molti dei quali non ricevono lo stipendio da mesi. è l’altra faccia di «Mafia Capitale», quella del lavoro, lontana dalla luce dei riflettori e degli inquirenti. In questo mondo ampio, oltre agli operatori, lavorano legali, insegnanti, educatori, assistenti , addetti alla pulizia. Dopo il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, la crisi del terziario avanzato e l’esplosione della bolla occupazionale creata dalla lunga stagione veltroniana dei “grandi eventi culturali”, a Roma questo terzo settore è sembrato l’unico capace di produrre un’occupazione precaria e, talvolta, anche un reddito. «Mafia Capitale» ha mandato in tilt questo sistema che oggi conta su una decina di cooperative – compresi i consorzi – e circa duemila addetti.

L’emergenza ha spinto gli operatori a riunirsi nell’assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici dell’accoglienza (A.l.a) che ieri si sono incontrati in un’assemblea all’entrata dell’assessorato delle politiche sociali di viale Manzoni a Roma. Sul posto c’era anche l’Unione sindacale di base (Usb) che ha denunciato il ritardo di tre mesi per i lavoratori di una cooperativa Eta Beta.Dai loro racconti emerge una realtà quotidiana caratterizzata anche dalla mancanza di chiarezza sulle mansioni da svolgere. Nel video «quel che non vi raccontano dell’accoglienza», diffuso dall’A.l.a. su Youtube, una giovane operatrice legale sostiene che «non esiste un mansionario stabile e nella cooperativa svolgo qualsiasi mansione, dalla distribuzione dei pasti alla pulizia dello stabile».

«Spesso le strutture sono inadeguate e prive di servizi per gli ospiti». «Quello dell’operatore sociale che si occupa di accoglienza è un profilo professionale relativamente giovane, risale a una quindicina di anni fa – racconta un’altra operatrice che preferisce mantenere l’anonimato – Nel nostro contratto nazionale manca la certezza dell’inquadramento. Questo significa che sul lavoro ci viene chiesto di svolgere tutti i ruoli, anche quello di sorveglianza e guardiania nei centri».

L’incertezza delle mansioni, oltre che del reddito, neutralizza di fatto il ruolo dell’operatore che è delicatissimo. Il suo compito è mediare tra le esigenze basilari del migrante e la società di accoglienza. Per farlo sono necessarie competenze, e formazione, che non vengono riconosciute né al momento della stipula dei contratti, né nell’attività quotidiana. «Questa situazione c’era prima di Mafia Capitale e purtroppo è destinata a continuare anche dopo» aggiunge l’operatrice. Alla base c’è un baco del sistema che, nel recente passato, ha imposto il terribile scambio biopolitico tra appalti e profitti sulla pelle dei rifugiati e oggi continua a creare nuove emergenze. A Roma si è manifestata con lo sgombero di una piccola baraccopoli a Ponte Mammolo e con l’incredibile vicenda dei profughi alla stazione Tiburtina.

In questo contesto si muove l’A.l.a, un’esperienza di auto-organizzazione degli operatori sociali sostenuta dalle Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) e dal laboratorio romano dello sciopero sociale. Nell’incontro ottenuto oggi dall’assessora capitolina alle Politiche Sociali Francesca Danese chiederanno chiarezza sui pagamenti alle cooperative che giustificano i ritardi con il blocco dei versamenti da parte del comune. Al comune chiedono anche di farsi garante dei diritti dei lavoratori negli enti che hanno in gestione i suoi appalti nell’accoglienza. Questa azione ha un obiettivo ambizioso: la «trasformazione radicale del sistema di accoglienza – sostengono i lavoratori dell’A.l.a. – Bisogna superare i megacentri e le politiche emergenziali, fonti del business e dello sfruttamento dei migranti e dei lavoratori». Lo strumento per ottenere una simile trasformazione potrebbe essere un tavolo interistituzionale con Prefettura, comune e il sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), un’altra delle richieste del movimento.