Silenzio politico-mediatico sulla riunione Nato dei ministri della difesa svoltasi a Bruxelles il 21-22 maggio. Eppure non si è trattato di un incontro di routine, ma di un vertice che ha enunciato una nuova strategia che condizionerà il futuro dell’Europa. Basti pensare che 23 dei 28 paesi della Ue sono allo stesso tempo membri della Nato: le decisioni prese nell’Alleanza, sotto indiscussa leadership statunitense, inevitabilmente determinano gli indirizzi dell’Unione europea.

È stato il generale Usa Philip Breedlove – il Comandante supremo alleato in Europa, nominato come sempre dal presidente degli Stati uniti – a enunciare il punto di svolta: «Siamo alla decisione cruciale di come affrontare, nel lungo periodo, un vicino aggressivo». Ossia la Russia, accusata di violare il principio del rispetto delle frontiere nazionali in Europa, destabilizzando l’Ucraina come stato sovrano e minacciando i paesi della regione orientale della Nato. La predica viene dal pulpito di una alleanza militare che ha demolito con la guerra la Jugoslavia, fino a separare anche il Kosovo dalla Serbia; che si è estesa a est, inglobando tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, due della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss; che è penetrata in Ucraina, assumendo il controllo di posizioni chiave nelle forze armate e addestrando i gruppi neonazisti usati nel putch di Kiev.

Significativo è che alla riunione dei capi di stato maggiore dei paesi Nato, il 21 maggio a Bruxelles, abbia partecipato anche il generale Mykhallo Kutsyn, nuovo capo di stato maggiore ucraino. E il segretario generale della Nato Rasmussen, a Skopje, ha assicurato che «la porta dell’Alleanza rimane aperta a nuovi membri», come la Macedonia, la Georgia e naturalmente l’Ucraina. Continua dunque l’espansione a est. La Nato, avverte il Comandante supremo in Europa, deve intraprendere un «adattamento strategico per affrontare l’uso da parte russa di improvvise esercitazioni, ciber-attività e operazioni coperte».

Ciò «costerà denaro, tempo e sforzo». Il primo passo consiste nell’ulteriore aumento della spesa militare, già oggi superiore ai 1000 miliardi di dollari annui: a tal fine il segretario Usa alla difesa Chuck Hagel ha annunciato un incontro, dei ministri di difesa e finanze, il cui scopo è spingere gli alleati europei ad accrescere la spesa militare.
Lo scenario dell’«adattamento strategico» Nato va oltre l’Europa, estendendosi alla regione Asia-Pacifico. Qui – sulla scia degli accordi russo-cinesi, che vanificano le sanzioni occidentali contro la Russia aprendole nuovi sbocchi commerciali a est – si prefigura una unione economica eurasiatica in grado di controbilanciare quella Usa-Ue, che Washington vuole rafforzare con la partnership transatlantica per il commercio e gli investimenti.

Gli accordi siglati a Pechino non si limitano al gas, ma riguardano anche settori ad alta tecnologia. È in fase di studio il progetto di un aereo di linea che, prodotto da una joint venture russo-cinese, farebbe concorrenza ai Boeing Usa e all’europea Airbus. Un altro progetto riguarda la costruzione di un super-elicottero in grado di trasportare un carico di 15 tonnellate.

La questione di fondo, ignorata nella campagna delle elezioni europee, è se l’Ue debba seguire gli Usa nell’«adattamento strategico» della Nato che porta a un nuovo confronto Ovest-Est non meno pericoloso e costoso di quello della guerra fredda, oppure debba svincolarsi per intraprendere un cammino costruttivo respingendo l’idea di gettare la spada sul piatto della bilancia, accrescendo la spesa militare, per conservare un vantaggio che l’Occidente vede sempre più diminuire.

L’unico segnale che viene dalla Ue è un insulto all’intelligenza: la Commissione europea ha deciso che, dal 2014, nel calcolo del pil la spesa per sistemi d’arma sia considerata non una spesa ma un investimento per la sicurezza del paese. Per aumentare il pil dell’Italia investiamo dunque negli F-35.