«Roberta, vediamoci fuori dall’aula, cerchiamo di capirci qualcosa». Alle sei del pomeriggio una Stefania Prestigiacomo accoratissima cerca «Roberta», ovvero Agostini, responsabile donne Pd. Anche lei è parecchio preoccupata. In aula i voti sugli emendamenti all’Italicum procedono al rallenti, per consumare i tempi contingentati della discussione. Che andrà avanti fino a notte; oggi sospensione causa congresso dei Fratelli d’Italia. Si chiude lunedì. I tre emendamenti trasversali sulla parità di genere sono per ora «accantonati». Se la quadra non si trova, Forza Italia si intesterà il veto sulla parità nella nuova legge elettorale. Ma è niente in confronto alla figuraccia cosmica che farebbe il Pd, se dovesse votare una legge che di fatto permette la prevalenza di uomini nelle liste. Con tanti auguri di buon 8 marzo, firmato Matteo Renzi. Una bella mimosa. Avvelenata.

La ministra della riforme Maria Elena Boschi per una volta è rincorsa da più femmine che maschi. Lei – donna da tacco 12 – forse per «opportunità» (è la parola che ha usato in aula per giustificare la permanenza al governo di quattro sottosegretari indagati) stavolta calza ballerine. E gira con il cellulare incollato all’orecchio, vecchio trucco. A deputate e croniste risponde con aria affaccendatissima: «Ragazze, ci stiamo lavorando». Il giorno prima, in aula, durante un assedio non amichevole delle colleghe ha spiegato: «Ragazze, la parità di genere non è nell’accordo. Accantoniamo la questione. Ma se l’accordo non arriva, sugli emendamenti il governo dovrà esprimere parere negativo». Sorellanza zero. Le donne del Pd chiedono che si lasci almeno libertà di coscienza. Ma a poco servirebbe. Al voto segreto, che verrebbe chiesto dai forzisti – certo non dai 5 stelle, contrari alla parità ma ansiosi di godersi lo spettacolo della spaccatura del Pd -, frotte di maschi (ma forse anche di femmine) sarebbero pronti a blindare l’accordo con il Cavaliere. E se il signore delle ’cene eleganti’ non cambia idea, lunedì andrà proprio così.

Ma per il Pd più che un 8 marzo, sarebbe un 18 giugno, Waterloo. In molte giurano disobbedienza. «Io, palese o segreto, voto sì», dice la giovanissima ’turca’ Giuditta Pini, quella che con una rispostaccia ha steso un pentastelluto che dava a lei e alle colleghe delle «pompinare». «I nostri uomini dalla parità di genere avrebbero solo da guadagnare: fra noi ci sono più donne», fa spallucce Matteo Orfini. Il portavoce della segreteria Lorenzo Guerini spergiura che il Pd rispetterà comunque la parità. Altri promettono cambiamenti al passaggio del Senato. Dove però l’accordo sul no sarebbe già blindato. L’unico a dichiararsi contrario è Beppe Fioroni. «Gli accordi vanno rispettati? Ma allora sempre».

In Transatlantico le battute si sprecano. Galeotte saranno le donne, Renzi farà il primo scivolone a causa loro? La questione, presa troppo sottogamba dal premier, ruota intorno a tre emendamenti firmati da donne di Pd, Fi, Sc, Ndc e Sel: il primo prevede l’alternanza nelle liste, mentre l’attuale testo consente due nomi dello stesso sesso consecutivi; il secondo propone metà uomini e metà donne fra i capilista; il terzo, di mediazione, propone un riparto 60/40. Sono tre «appositi provvedimenti» per «promuovere le pari opportunità fra donne e uomini», come impone l’art.51 della Carta. Se nessuno dei tre meccanismi sarà inserito nell’Italicum, l’Italicum sarebbe in odore di incostituzionalità. «Sarebbe paradossale che il parlamento con maggiore presenza femminile votasse una legge che di fatto ne riduce la presenza», attacca Titti De Simone (Sel). Che non dispera: «C’è un conflitto vero nel Pd, in Forza italia, nel paese. Renzi non può non rendersene conto». I vendoliani esibiscono i braccialetti rossi del movimento Se non ora quando. A ora di pranzo la presidente Laura Boldrini riceve le deputate e tuona: «La parità di genere sia rispettata». Le senatrici Pd raccolgono firme.

Ma finora resta il niet di Berlusconi. E fra i banchi di Fi è guerriglia, neanche tanto en rose. Non mollano le ex ministre Carfagna e Prestigiacomo, né Mariagrazia Calabria né Renata Polverini. Contro di loro Daniela Santanché si leva qualche sassolino dalla Chanel: «Dobbiamo avere il coraggio di ammetterlo: le liste vengono decise dagli uomini. E la stessa regola vale per le donne che fanno i ministri». Le quattro forziste-femministe sono tutte amicissime di Francesca Pascale, la fidanzata del Cavaliere? E allora l’alfaniana Dorina Bianchi twitta: «Si appellino a lei». A lei che interceda con lui. E buon otto marzo a tutte.